Interpretare lo sguardo di Leaundre Dawes-Vaeth dietro le lenti di plexiglas un po’ rigate della sua maschera da sub è piuttosto difficile. Potrebbe voler dire: “È un classico, gli uomini sono incapaci di fare più cose insieme!”. Ma nuotare controcorrente sott’acqua per identificare le specie ittiche prendendo nota di ciascun esemplare con un pennarello in una mano e una lavagna nell’altra non è facile.

Dawes-Vaeth fa parte delle Master reef guides, un gruppo di circa cento guide che lavora nella Grande barriera corallina australiana, l’organismo vivente più grande del mondo, talmente vasto da essere visibile dallo spazio. È costituita da quasi tremila barriere coralline e da quasi mille isole. Dawes-Vaeth viene dalla Florida e organizza escursioni in catamarano per i turisti. Non sono solo gite di piacere: chi parte da Cairns, una città dell’Australia nordorientale, per fare l’escursione “Biologi marini per un giorno” impara tantissime cose e aiuta la ricerca.

Accompagnati da sub e snorkeler, i turisti si dirigono verso il punto di ancoraggio di Hastings-Riff, dove Dawes-Vaeth gli spiega come misurare correttamente posizione, profondità di avvistamento e temperatura dell’acqua. Poi si passa al conteggio dei pesci: dieci minuti in cui bisogna annotare tutto quello che si vede.

Dawes-Vaeth punta il dito e indica un anemone di mare al cui interno vede un pesce pagliaccio, come quello del cartone animato Alla ricerca di Nemo. Alza il pollice come a dire: ottimo per la barriera corallina. Quando vede una stella marina corona di spine (Acanthaster planci), invece, piega il pollice all’ingiù, perché questi animali si nutrono dei coralli dell’ordine delle madrepore e possono piombare sulla barriera come uno sciame di locuste.

Un grado fa la differenza

Uno degli obiettivi è stabilire la percentuale di coralli morti e intatti, e di sabbia, rocce e alghe, in un raggio di cinque metri. Alla fine fotografiamo queste aree del fondale. Grazie alle immagini si possono studiare le condizioni della barriera corallina. Tornata a bordo del catamarano, la guida accende il portatile e carica i dati sulla piattaforma Eye on the reef. Oltre ai turisti, raccolgono dati anche i pescatori, i guardiani del parco marino e i ricercatori.

Le condizioni della barriera corallina non interessano solo a esperte ed esperti. Anche chi viene in vacanza a Palm Cove, venti chilometri a nord di Cairns, può farsi un’idea della situazione, anche se in questa idilliaca ed elegante località balneare ci si dimentica facilmente della minaccia del cambiamento climatico. I proprietari del boutique hotel The reef house lo sanno bene e una volta alla settimana organizzano incontri con Glen Burns, un biologo marino, per far sì che il loro albergo non debba chiamarsi The Dead Reef House.

Burns racconta di aver recentemente mostrato la barriera corallina al premier australiano Anthony Albanese, che per l’occasione ha sostituito completo e cravatta con costume da bagno e pinne. Con tutta probabilità Burns gli avrà detto quello che dice anche agli ospiti dell’albergo: lo sbiancamento dei coralli, che si è verificato nel 2016 e nel 2017, quando le temperature dell’acqua arrivavano a toccare i 40 gradi, ha avuto effetti catastrofici. “Abbiamo perso il 30 per cento dei coralli”, spiega Burns . Ma il biologo è convinto che la barriera corallina sia stata data per morta troppo presto. Infatti dal 2017 a oggi si è ripresa in modo sorprendente.

Comunque sappiamo che lo sbiancamento si ripeterà, probabilmente all’inizio del 2024, quando in Australia settentrionale è prevista un’ondata di caldo. Pur non essendo l’unica causa, il riscaldamento globale è il fattore principale: “I depositi sedimentari delle rocce, la pesca, il turismo e i nutrienti immessi in acqua dall’agricoltura danno il loro contributo, ma non sono decisivi”, spiega Burns. Anche in passato le barriere coralline subivano delle trasformazioni. “Ma oggi il cambiamento è più veloce e la responsabilità è degli esseri umani”.

Turisti e ricercatori prendono nota delle specie ittiche. Queensland, Australia, 2022 (Passions Of Paradise/Tourism Tropical North Queensland)

Da turista tedesco che venendo in Australia in aereo ha scaricato molta anidride carbonica nell’atmosfera, ci metto poco a farmi venire i sensi di colpa. “Dobbiamo fermare l’aumento della temperatura o almeno rallentarlo”, afferma Burns. “Anche un grado fa un’enorme differenza”. Se non ci riusciamo, le altre iniziative per salvare la barriera corallina serviranno a poco. Ma almeno dal 2017 questi sforzi sono cresciuti considerevolmente. E alcuni progetti sono aperti alla collaborazione dei turisti.

Materiale genetico

L’acquario di Cairns è una delle sedi della biobanca dei coralli, inaugurata nel giugno 2023. Con il progetto Forever Reef, l’organizzazione non profit Great barrier reef legacy sta cercando di raccogliere e conservare esemplari di tutte le specie di coralli. “Si tratta della più grande iniziativa mai realizzata finora per preservare la biodiversità genetica dei coralli duri viventi”, racconta Dean Miller, responsabile di progetto. “Vogliamo conservare frammenti, campioni di tessuti e materiale genetico in una sorta di deposito vivente prima che sia troppo tardi”, spiega in una delle visite che si svolgono in un’area appena aperta dell’acquario per mostrare ai visitatori cosa succede dietro le quinte. Le scienziate e gli scienziati identificano, catalogano e salvano su microchip i dati di ciascun esemplare. “Offriamo ai visitatori la possibilità di fare esperienza diretta delle attività a tutela dei coralli”, dice il fondatore dell’acquario, Daniel Leipnik.

Le luci al led sul soffitto imitano quella solare, mentre sistemi di filtraggio garantiscono condizioni stabili nelle vasche con l’acqua di mare. “Siamo in grado di far crescere i coralli e di mantenerli in salute per millenni”, spiega Leipnik. “Gli esemplari conservati ci forniscono materiale genetico vivente. Se con il cambiamento climatico dovessero verificarsi nuove ondate di calore marino potremmo trapiantare questo materiale nella barriera corallina”.

La biobanca può ospitare fino a dodicimila frammenti viventi di tutte e quattrocento le specie locali di madrepore presenti nella Grande barriera corallina. Finora ne è stata già raccolta circa la metà e il progetto dovrebbe concludersi entro il 2026.

“Grazie alle immagini satellitari sappiamo che ci sarà un altro importante sbiancamento dei coralli. Ma non sappiamo dove”

Il tempo è contro di noi

La coltivazione dei coralli funziona bene in laboratorio, ma ultimamente si tentano esperimenti anche sulla barriera corallina. Ryan Donnelly è l’ amministratore delegato della Reef restoration foundation, una ong finanziata esclusivamente con donazioni. Nel suo ufficio di Cairns, vicino al porto dal quale partono ogni giorno i catamarani per le escursioni, ha un computer con una quantità enorme di dati in cui sono costantemente caricate le immagini riprese dalle telecamere sottomarine. Accanto ci sono le mappe della grande barriera corallina. Qualche anno fa, racconta Donnelly, la tv tedesca Zdf lo ha incontrato durante le riprese del film ispirato a Il quinto giorno, il romanzo di Frank Schätzing in cui i protagonisti sono delle nuove specie marine. “Gli oceani si stanno ribellando”, osserva Donnelly. “Grazie alle immagini satellitari sappiamo che ci sarà un altro importante sbiancamento dei coralli. Quello che non sappiamo è dove”. Anche nel 2020 e 2022 ci sono stati degli sbiancamenti sulla barriera corallina meridionale, ma i mezzi d’informazione hanno dato poco spazio alla notizia.

Donnelly non è ottimista. “Siamo tutti dei sopravvissuti dell’evoluzione, noi esseri umani e anche i coralli. Siamo in grado di rigenerarci e di riprenderci, ma il tempo è contro di noi”. Secondo il ricercatore, difficilmente la barriera corallina potrà essere mantenuta così com’è adesso. “Subiremo altre perdite”. E allora bisogna rinunciare, arrendersi? Neanche per sogno. Con una piccola squadra e aiutato da tanti sub volontari, ha messo in acqua un’impalcatura artificiale su cui fa crescere i coralli. “Fino a qualche tempo fa, interventi del genere erano vietati dalla legge”, spiega Donnelly. Ma dopo lo sbiancamento del 2017, la Marine park authority ha autorizzato un progetto pilota. “C’è da dire che abbiamo cominciato da zero”.

Vivai artificiali

In altre aree del mondo i ricercatori sono più avanti. Per esempio in Florida, negli Stati Uniti, sono anni che si battono per la salvaguardia della barriera corallina. E infatti è da lì che arrivano molte delle informazioni necessarie al progetto australiano. Alla fine il governo di Camberra ha riconosciuto l’urgenza del problema e ha stanziato grosse somme di denaro per la salvezza della barriera corallina. È un compito enorme, visto che la barriera corallina è lunga 2.300 chilometri. Solo per l’area di 250 chilometri quadrati in cui la sua squadra coltiva i coralli, ci vorrebbero almeno cento milioni di dollari, sostiene Donnelly.

Ma la buona notizia è che questo sistema funziona: “I coralli crescono perfino più rapidamente che in natura”. Di solito prima che la barriera corallina si rigeneri ci vogliono da quattro a dieci anni, ma con i vivai artificiali si può velocizzare il processo. Nelle acque intorno alla Fitzroy Island, la fondazione di Donnelly coltiva frammenti particolarmente resistenti di coralli attaccati ad “alberi” artificiali. I frammenti sono prelevati da organismi sani e poi fissati a delle funi. Sulle strutture artificiali fisse, nel corso di pochissimo tempo, crescono dando luogo a formazioni di dimensioni imponenti. Un altro effetto positivo di questo lavoro è che i ricercatori capiscono così quali sono le specie che resistono meglio al calore.

Nel novembre 2022 si è registrato un altro successo: per la prima volta dei coralli del genere Acropora, coltivati dall’essere umano, hanno generato dei gameti, riproducendosi per via naturale. Si sono riprodotti anche l’anno successivo, rilasciando in acqua contemporaneamente migliaia di minuscole uova e fasci di sperma di colore rosa. “Siamo molto orgogliosi”, dice Donnelly. Ma tutto questo non basterà a salvare l’intera barriera corallina. Ci vorrebbero diversi miliardi di dollari. ◆ sk

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Questo articolo è uscito sul numero 1544 di Internazionale, a pagina 66. Compra questo numero | Abbonati