Questo articolo è stato aggiornato il 7 dicembre 2023.
Le gru che scaricano i container dalle navi dominano il panorama della costa ligure. Chi arriva in porto è accolto da una lunga serie di nomi e loghi di società di trasporti, dalla danese Maersk alla taiwanese Evergreen. Ma c’è un nome che è difficile trovare: Cosco (China ocean shipping Company), il gioiello dell’industria marittima cinese che controlla il 40 per cento del porto di Vado Ligure.
Oltre che a Vado, le aziende cinesi hanno una partecipazione in almeno una ventina di porti europei. Molti di questi investimenti fanno parte della Belt and road initiative (Bri), la nuova via della seta, il progetto di Pechino per creare una rete di infrastrutture che colleghino l’Asia all’Europa e all’Africa, e rafforzare allo stesso tempo la sua influenza.
Bruxelles cerca alternative
A Vado si dice che la Cosco cerca di non attirare l’attenzione, ma forse è solo perché l’azienda ha una partecipazione di minoranza nel porto. Negli ultimi tempi in Italia e in gran parte dell’Europa si è diffuso un certo disagio a proposito della Bri. I timori non riguardano solo la sicurezza, ma anche quelle che alcuni hanno definito “promesse economiche non mantenute”. L’Italia, unico paese del G7 ad aver formalmente accettato di partecipare all’iniziativa di Pechino, ha lasciato intendere di volersi tirare indietro.
L’Unione europea cerca delle alternative: il 25 ottobre 2023 a Bruxelles si è tenuto il Global gateway forum per “incrementare gli investimenti nelle infrastrutture”, organizzato una settimana dopo che in Cina si era tenuto il decimo forum annuale della nuova via della seta. All’interno di questa strategia, l’Unione europea sta appoggiando l’India-Middle East-Europe economic corridor (Imec), una risposta alla Bri presentata a settembre durante il vertice del G20 di New Delhi.
Secondo il memorandum d’intesa firmato in quell’occasione dai paesi partecipanti, tra cui l’Italia, l’Imec avrà due corridoi: uno collegherà l’India al golfo Persico e l’altro il golfo Persico all’Europa. “Il progetto comprenderà una ferrovia, che una volta completata garantirà una rete di transito affidabile ed economica e permetterà di trasferire i carichi dalle navi ai treni, collegando India, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, Giordania, Israele ed Europa”, si legge nel documento. Ma anche questa iniziativa solleva dei dubbi. Fino a che punto una manovra per contrastare la Bri può dipendere dai porti controllati dalla Cina? La posizione cruciale di Israele potrà complicare i piani, considerando la guerra in corso?
Negli ultimi vent’anni le aziende cinesi sono state coinvolte in almeno 24 operazioni di acquisizione nei porti europei, costate 9,1 miliardi di euro
Per l’Europa la forte presenza cinese nei porti presenta “rischi che non sono compresi a sufficienza”, si legge in uno studio pubblicato dal parlamento europeo a settembre. Il testo non rappresenta la posizione ufficiale dell’Europa, anche se è stato richiesto da una commissione parlamentare, e afferma che questi rischi “derivano dalla strategia deliberata della Cina di sfruttare a proprio vantaggio i suoi investimenti nelle infrastrutture marittime europee nel caso di conflitto (come quello per il controllo di Taiwan)”.
Roma ci ripensa
La ricerca sottolinea che negli ultimi vent’anni le aziende cinesi sono state coinvolte in almeno 24 operazioni di acquisizione nei porti europei, spendendo 9,1 miliardi di euro. La lista comprende il porto del Pireo, in Grecia, dove la Cosco controlla interamente il terminal dei container e ha una partecipazione di maggioranza nell’autorità portuale. Il porto ateniese è spesso citato come possibile punto d’ingresso in Europa per l’Imec, anche se le rotte non sono ancora state tracciate con precisione. Nell’ottobre del 2022 la Cosco ha firmato un contratto per l’acquisizione di quasi un quarto del terminal container Tollerort, nel porto di Amburgo, dopo un acceso dibattito durato mesi.
Marc Julienne, responsabile delle ricerche sulla Cina dell’Istituto francese di relazioni internazionali, ricorda che l’acquisizione del Pireo è avvenuta “nel contesto drammatico” della crisi del debito greco. Da allora i rapporti tra l’Europa e la Cina si sono “molto deteriorati”, aggiunge Julienne, mentre è “aumentata la sfiducia” tra Pechino e Washington in un clima di conflitto costante. Il G7 di quest’anno si è concluso con l’impegno a “ridurre il rischio” rappresentato dalla Cina e “l’eccessiva dipendenza nelle catene di approvvigionamento”. Ma non tutti considerano una minaccia la presenza cinese nei porti. Alcuni dirigenti dell’industria marittima europea intervistati da Nikkei Asia, che hanno preferito mantenere l’anonimato, ritengono che i rapporti con le aziende statali cinesi come la Cosco o la China merchants port holdings (Cmp) non siano diversi da quelli con qualsiasi altro interlocutore.
Alcuni funzionari dell’Italia settentrionale sottolineano che l’autorità portuale locale – che gestisce le attività a Genova e Vado Ligure da un palazzo duecentesco affacciato sul mare – risponde solo al governo di Roma, anche se altri ammettono che la prudenza sugli investimenti cinesi sta progressivamente aumentando.
Anche dal punto di vista economico gli esperti ritengono che la nuova via della seta non sia vantaggiosa per i paesi come l’Italia
Kung Chan, fondatore del centro studi Anbound, di Pechino, è convinto che i porti hanno un valore strategico relativo per la Cina. “In caso di una guerra queste strutture verrebbero immediatamente confiscate, un po’ come succede oggi a quelle controllate dalla Russia in tutto il mondo”, spiega. La Cosco non ha risposto alle richieste di un commento. La Cina ha smentito ripetutamente la tesi secondo cui i progetti della Bri presentano un rischio. Dopo che ad aprile di quest’anno le autorità tedesche avevano detto di voler rivedere i termini dell’accordo per una partecipazione cinese nel porto di Amburgo, un portavoce del ministero degli esteri di Pechino ha dichiarato che Berlino avrebbe fatto meglio “a non politicizzare una normale collaborazione commerciale trasformandola in una questione ideologica e di sicurezza”. Alla fine il governo tedesco ha approvato la vendita.
Un rapporto sulla Bri pubblicato l’11 ottobre 2023 dal consiglio di stato della Repubblica popolare cinese ha elogiato “il solido miglioramento” dei collegamenti marittimi, dell’efficienza e della cooperazione tra i porti dei paesi partecipanti, definendo Vado Ligure come “il primo terminal altamente automatizzato in Italia”. Tuttavia molti sono convinti che la situazione sia più complessa.
Julienne sottolinea che gli investimenti cinesi, presi singolarmente, sembrano innocui, ma “quando si parla di una serie di porti viene da chiedersi se esista una strategia più ampia”. Il ricercatore aggiunge che uno stato “non spende miliardi di dollari per controllare un porto senza una ragione. Gli investimenti cinesi non rappresentano necessariamente un pericolo”, continua Julienne, ma considerare la Cosco “un’azienda come le altre” significherebbe “fraintendere il sistema politico ed economico cinese”.
Olaf Merk, esperto di trasporti marittimi e infrastrutture dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) dipinge un quadro sfumato. “In termini di sovranità non esistono rischi diretti”, spiega Merk, aggiungendo però che sono molti i fattori da considerare, perché le aziende cinesi non si limitano ai trasporti ma gestiscono cantieri navali, attrezzature, collegamenti terrestri. Le gru, per esempio, sono fornite soprattutto da aziende cinesi. Il rapporto del parlamento europeo si sofferma sulle imprese che gestiscono le gru da nave a terra e nello specifico sulla loro capacità di raccogliere dati, sottolineando che si tratta di un aspetto importante ma trascurato della presenza cinese nel sistema europeo dei trasporti marittimi. Queste preoccupazioni si ricollegano ai dubbi che circolano in occidente sulla natura delle aziende cinesi (anche quelle private) e dei loro legami con il Partito comunista. Le preoccupazioni relative alla sicurezza non sono l’unica ragione per cui la Bri sta perdendo sostenitori in Europa.
Conflitti regionali
Anche dal punto di vista economico gli esperti ritengono che la nuova via della seta non sia vantaggiosa per i paesi come l’Italia, anche se l’accordo in precedenza era stato considerato un’occasione di riscatto per gli stati dell’Europa meridionale trascurati da Bruxelles. Oggi la Cina è la fonte principale del traffico commerciale marittimo italiano, ma in porti come Vado Ligure e Genova i container arrivano stracarichi dalla Cina e ripartono per l’Asia molto più leggeri. Nel 2022 le esportazioni italiane verso la Cina hanno raggiunto la cifra di 16,4 miliardi di euro, aumentando di poco rispetto ai 13 miliardi del 2019, l’anno in cui il paese è entrato nella Bri. Invece nello stesso periodo le esportazioni cinesi in Italia sono aumentate sensibilmente, passando da 31,7 a 57,5 miliardi di euro. Anche la Germania, che non fa parte della Bri, ha segnato il record degli ultimi decenni per quanto riguarda il deficit commerciale con la Cina (la differenza tra il valore monetario delle importazioni e delle esportazioni di un paese in un determinato periodo di tempo).
“Le promesse di Pechino su investimenti importanti, prestiti a condizioni favorevoli e crescita del commercio bilaterale sono state deludenti”, sottolinea Julienne. Questa “stanchezza per le promesse non mantenute”, come la definisce l’esperto, è uno dei motivi per cui alcuni paesi europei stanno cercando di prendere le distanze dalla Cina.
Il ministro della difesa italiano Guido Crosetto ha definito “improvvisata e atroce” la decisione del precedente governo di partecipare alla Bri. Il 6 dicembre è stata resa nota la decisione dell’Italia di uscire dall’accordo prima del rinnovo, previsto a marzo del 2024. A settembre la Cina aveva definito “fruttuosa” la collaborazione con l’Italia.
L’Imec sta alimentando la speranza di una ripresa economica di cui l’Italia e l’Europa hanno un grande bisogno. Il memorandum sull’Imec – firmato, tra gli altri, da Arabia Saudita, Unione europea, India, Emirati Arabi Uniti, Francia, Germania e Stati Uniti – precisa che “il corridoio rafforzerà l’efficienza, abbasserà i costi, creerà posti di lavoro e ridurrà le emissioni di gas serra, migliorando l’integrazione tra Asia, Europa e Medio Oriente”. È fondamentale notare che il progetto è sostenuto dall’India, che quest’anno ha scalzato la Cina come paese più popoloso al mondo. Il primo ministro indiano Narendra Modi ha paragonato l’Imec all’antica rotta commerciale che ha ispirato anche la Bri.
“Centinaia di anni fa la via della seta ha dato un forte impulso al commercio globale”, ha dichiarato recentemente Modi durante il Global maritime India organizzato a Mumbai. “Ora questo corridoio storico trasformerà il quadro del commercio regionale e globale”.
Genova, dove l’attività marittima è radicata nell’identità cittadina, è una tappa scontata. Il porto è avvolto dalle facciate colorate delle case del centro storico. La città ospita anche il più grande museo marittimo del Mediterraneo, in cui è raccontata la storia del rapporto tra Genova e il mare “dal medioevo all’era moderna”. Ma soprattutto, le infrastrutture liguri possono accogliere le più grandi navi portacontainer e garantiscono comodi collegamenti ferroviari.
Eppure, considerando la presenza cinese nella regione, il tentativo di competere con la Bri potrebbe avvantaggiare Pechino. Uno studio pubblicato dal centro studi turco Ankara center for crisis and policy studies sottolinea che “la Cina avrà la possibilità di commerciare con molti dei paesi che parteciperanno all’Imec”, e questo potrebbe garantirle “un accesso facilitato” all’approvvigionamento energetico in Europa e Medio Oriente.
Inoltre c’è il rischio che la guerra in Medio Oriente possa compromettere la normalizzazione dei trasporti tra Israele e un altro partecipante all’Imec, l’Arabia Saudita, la cui presenza è fondamentale per la riuscita del progetto. Riyadh ha criticato duramente i bombardamenti israeliani su Gaza. “I conflitti regionali come l’attacco di Hamas a Israele evidenziano l’importanza degli sforzi diplomatici nella risoluzione dei contrasti per proteggere gli interessi economici e garantire la funzionalità dei corridoi commerciali”, hanno scritto il 19 ottobre gli analisti della fondazione tedesca Bertelsmann.
penAnche se tutto dovesse andare secondo i piani, la presenza cinese non diminuirà. Il porto israeliano di Haifa è considerato l’anello di collegamento tra la rotta orientale dell’Imec dall’India al golfo Persico e quella settentrionale che porta all’Europa. La multinazionale indiana Adani group ha una quota di maggioranza nel più grande terminal in acque profonde del porto di Haifa. Ma sulla sponda opposta si trova un altro terminal altamente tecnologico inaugurato nel 2021, l’Haifa bayport. Chi lo controlla? Lo Shanghai international port group, un conglomerato cinese che ha firmato un contratto di gestione della durata di 25 anni. ◆ as
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Questo articolo è uscito sul numero 1541 di Internazionale, a pagina 38. Compra questo numero | Abbonati