Il 6 marzo Seoul ha annunciato un piano per risarcire i cittadini costretti ai lavori forzati durante l’occupazione giapponese. Secondo il Giappone e gli Stati Uniti è “una svolta per il riavvicinamento tra Seoul e Tokyo”, ma l’opinione pubblica sudcoreana ha trovato la proposta umiliante e irrispettosa della verità storica. Tra il 1910 e il 1945 circa 150mila sudcoreani furono costretti a lavorare in miniere e fabbriche giapponesi come la Mitsubishi e la Nippon Steel. La misura è destinata alle famiglie di quindici querelanti, tre dei quali, ancora in vita, hanno dichiarato che rifiuteranno l’offerta: “Devono risarcirci i giapponesi, ma prima ci chiedano scusa”, ha detto una delle vittime all’agenzia Yonhap.
I soldi non bastano
Pianificare il futuro
Il 4 marzo si sono aperte a Pechino le cosiddette lianghui (due sessioni): l’assemblea consultiva del popolo cinese e l’assemblea nazionale del popolo, che si svolgono quasi in contemporanea. Come ogni anno, circa cinquemila delegati si riuniscono per una settimana per discutere e ratificare la direzione che prenderà la seconda economia mondiale. Per quanto riguarda la crescita economica è stato fissato un obiettivo più basso del previsto: il 5 per cento del pil. Una previsione inferiore anche al 5,5 per cento registrato nel 2022, quando gran parte del paese ha affrontato pesanti lockdown. Per le spese militari, invece, è previsto un aumento di spesa in linea con quello degli anni precedenti: 7,2 per cento del bilancio, contro il 7,1 del 2022. Si prosegue sulla strada aperta da Xi Jinping, che in chiusura sarà nominato per la terza volta presidente. La Repubblica popolare cinese dovrà contare di più sulle sue forze, puntando sull’autarchia nella produzione e sulla ricerca scientifica e tecnologica nazionale. Sono anche state annunciate riforme strutturali nel settore finanziario e della raccolta dei dati, un taglio del 5 per cento dei lavoratori nella pubblica amministrazione e una riduzione dei salari più alti. Financial Times
Un leader condannato
Il 4 marzo Kem Sokha ( nella foto ), uno dei più importanti politici dell’opposizione cambogiana, è stato condannato a 27 anni di detenzione domiciliare, e non potrà candidarsi né votare alle elezioni del prossimo luglio, scrive Ap. L’ex leader dell’ormai dissolto Cambodian national rescue party era stato arrestato nel 2017 con l’accusa di cospirare con gli Stati Uniti per rovesciare il governo del primo ministro Hun Sen, al potere dal 1985. Washington ha definito la sentenza “politica” e basata su “una teoria del complotto completamente inventata”.
Morte a un passo dall’Italia
C’erano almeno venti pachistani a bordo della nave naufragata al largo delle coste calabresi lo scorso 26 febbraio. Tre di loro sono tra le vittime accertate, compresa Shahida Raza, ex giocatrice della nazionale di hockey. Appartenente alla minoranza hazara, Raza era in cerca di cure per il figlio, paralizzato dalla nascita. “È partita sola. E tornerà sola, in una bara”, ha detto una sua amica al quotidiano Dawn. Torpekai Amarkhel, invece, è morta insieme alla famiglia. La giornalista afgana aveva collaborato con i mezzi d’informazione occidentali durante l’occupazione statunitense e aveva lasciato il paese perché era diventata un obiettivo dei taliban.
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