Il primo turno delle elezioni presidenziali romene del 24 novembre si è concluso con un risultato a sorpresa: il più votato, con il 22 per cento dei consensi, è stato il candidato indipendente di estrema destra Călin Georgescu, che al ballottaggio dell’8 dicembre sfiderà Elena Lasconi, del partito liberale e anticorruzione Usr (il 1 dicembre il paese voterà invece per le legislative). Sconfitti i due partiti che guidano il paese da quasi venticinque anni, i nazional-liberali (Pnl) e i socialdemocratici (Psd), e anche la forza di estrema destra Aur, a cui Georgescu era stato legato negli ultimi anni. I sondaggi avevano nettamente sottovalutato la popolarità di Georgescu, anche perché, spiega il sito romeno in lingua ungherese Transtelex, la sua campagna elettorale non si è svolta sui mezzi d’informazione ma su Tik Tok: “Nei suoi video comparivano potenti simboli identitari, come la bandiera o le immagini di eroi nazionali, e questo ha dato una particolare forza emotiva ai suoi messaggi. L’immediatezza del social media gli ha anche permesso di far arrivare i suoi slogan estremisti in modo rapido e senza fronzoli”. “Georgescu è noto per la sua ostilità alla Nato e all’Unione europea e per le sue posizioni filorusse”, commenta l’ungherese Telex. “E difende il movimento antisemita e fascista della Guardia di ferro, attivo nella Romania degli anni trenta. Tuttavia il suo modo di comunicare è piuttosto prudente, cosa che gli consente d’intercettare i voti non solo dell’estrema destra”. “Tra i motivi della vittoria di Georgescu”, aggiunge il sito romeno Spotmedia, c’è “la frustrazione di quella larga parte della popolazione, con i suoi problemi, aspettative e paure, che è stata abbandonata dai partiti tradizionali. E poi c’è la pessima amministrazione della cosa pubblica, che ha conseguenze economiche gravi. Quando le cose peggiorano costantemente, non si può far credere alla gente che stia vivendo nel benessere”. ◆
Von der Leyen atto secondo
Il 27 novembre il parlamento europeo ha approvato la composizione della nuova Commissione guidata da Ursula von der Leyen (nella foto) . “Per la prima volta dal 1999 nessun candidato è stato respinto. Ma, con 370 voti favorevoli, 282 contrari e 36 astenuti, è la Commissione meno sostenuta dal parlamento degli ultimi trent’anni”, commenta Politico. Il voto per i 26 commissari è arrivato alla fine di un processo cominciato con le elezioni di giugno e conclusosi dopo settimane di trattative tra i gruppi di destra e di sinistra.
In attesa del verdetto
Il 27 novembre la procura di Avignone ha chiesto vent’anni di prigione, il massimo della pena, per Dominique Pelicot, accusato di aver somministrato alla moglie dosi massicce di ansiolitici per nove anni allo scopo di farla stuprare da decine di sconosciuti reclutati su internet. Per gli altri cinquanta imputati sono state richieste pene dai quattro ai 17 anni di carcere. L’accusa, scrive Libération, ha smontato la strategia di difesa degli uomini sotto processo, che avevano provato ad attenuare le loro responsabilità sostenendo che avevano creduto che si trattasse di un gioco erotico o che ci fosse un consenso implicito della donna.
Continuano gli attacchi
Dopo il lancio di un nuovo missile ipersonico il 21 novembre e le minacce nucleari di Vladimir Putin, la Russia ha continuato a colpire le città e le infrastrutture ucraine. Come scrive la Reuters, tra il 25 e il 26 novembre ha lanciato il numero record di 188 droni, di cui 76 sono stati intercettati dalla contraerea di Kiev. I russi, inoltre, continuano ad avanzare anche nell’est del paese. Secondo Mosca, infine, tra il 24 e il 26 novembre l’Ucraina ha lanciato due missili Atacms contro le sue postazioni nella regione russa di Kursk. Sotto il profilo diplomatico, dopo il breve fermento seguito alla vittoria di Donald Trump alle presidenziali statunitensi, negli ultimi giorni non ci sono state novità a parte la dichiarazione del presidente ucraino Volodymyr Zelenskyj secondo cui Kiev potrà riprendere il controllo della Crimea non con la forza, ma solo con gli strumenti della diplomazia.
Svezia Il governo ha chiesto a una nave cargo cinese di tornare in acque territoriali svedesi per collaborare alle indagini sulla rottura di due cavi sottomarini per le telecomunicazioni, avvenuta nella notte tra il 17 e il 18 novembre. Al momento dell’incidente, che secondo alcuni è stato un sabotaggio, la Yi Peng 3 era in navigazione nella zona in cui si trovano i cavi tranciati, nel mar Baltico.
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