Dopo la recente instabilità dei mercati azionari si è cominciato a discutere della bolla dell’intelligenza artificiale (ia). Sia chiaro, le preoccupazioni non sono infondate. Gli scettici definiscono l’ia un altro caso di fantasia tecnologica e speculazione finanziaria fin dal lancio di ChatGpt alla fine del 2022, perché l’andamento di questi cicli è noto. Più di recente si sono unite al coro anche voci del settore finanziario, come la Goldman Sachs o la Sequoia capital.

Le quotazioni di mercato dei titoli tecnologici sono sopravvalutate, è evidente, e questo si deve in parte al clamore che si è generato intorno all’ia generativa. Il punto non è chiedersi se i mercati correggeranno il tiro, ma quando succederà e quanto profonda sarà la crisi.

Le quotazioni dei titoli tecnologici sono sopravvalutate a causa del clamore suscitato dall’ia generativa

Non fingerò di consultare una sfera di cristallo e dare una risposta certa, ma penso sia venuto il momento di cominciare a pensare a cosa succederà dopo che i mercati cambieranno orientamento, invece di concentrarci solo sul presente. Le bolle speculative tecnologiche seguono dei cicli, ma c’è anche un periodo successivo alla crisi, quando l’attenzione comincia a spostarsi altrove prima che la tecnologia in difficoltà sia rimessa in sesto.

La bolla delle criptovalute è implosa nel 2022, ma il suo settore è tutt’altro che morto. È uno dei principali finanziatori dell’attuale campagna elettorale negli Stati Uniti, a caccia di candidati disposti ad approvare delle leggi più permissive per le sue attività fraudolente.

Nemmeno il precariato è più sotto i riflettori, anche se Uber continua la sua campagna per escludere i lavoratori dalle garanzie delle leggi sul lavoro, con conseguenze significative.

Nel frattempo gli smart glass (occhiali intelligenti) sono tornati, più invadenti che mai, e i social network continuano a causare danni sociali nonostante anni di dibattiti al riguardo.

Non possiamo permettere che con l’ia generativa vada allo stesso modo. I chatbot (i software in grado di imitare la conversazione umana) e i generatori d’immagini sono usati forse in modi più concreti rispetto alle criptovalute, ma questo può anche voler dire che, quando finirà il clamore, si potranno usare a danno della gente in altri modi. Dobbiamo assolutamente capire come impedirlo. Nei primi giorni di entusiasmo per i chatbot, l’amministratore delegato della OpenAi, Sam Altman, faceva grandi promesse sul significato dei modelli linguistici di grandi dimensioni (large language models, llm) per il futuro dell’umanità. Secondo Altman con questo tipo di intelligenza artificiale i nostri medici e insegnanti sarebbero diventati chatbot e alla fine tutti avrebbero avuto il loro assistente su misura in grado di aiutarli per ogni bisogno. Nel caso le sue previsioni si fossero avverate, non era difficile capire che conseguenza ci sarebbero state per i posti di lavoro. Il problema è che quelle dichiarazioni erano pura fantasia.

Nel frattempo si è capito che i modelli linguistici di grandi dimensioni hanno dei limiti, anche se molte aziende non vogliono riconoscerli, perché questo potrebbe affossare l’entusiasmo che alza il loro valore di mercato. Per il problema delle cosiddette “allucinazioni” (informazioni inventate di sana pianta dai software di ia) non c’è una soluzione e l’idea che le tecnologie miglioreranno all’infinito usando quantità sempre maggiori di dati è stata messa in discussione dai progressi minimi introdotti nei nuovi modelli d’intelligenza artificiale.

Quando però la bolla esploderà, i chatbot e i generatori d’immagini non finiranno nel cestino dei rifiuti della storia. Assisteremo piuttosto a un ripensamento dei campi in cui sarà più sensato impiegarli e, se l’attenzione si sposterà altrove in fretta, questo potrebbe avvenire senza grandi resistenze.

I centri di elaborazione dati scatenano proteste in tutto il mondo per l’enorme consumo di acqua ed energia

Gli artisti visuali e chi lavora nel campo dei video­giochi potrebbero assistere a un ulteriore peggioramento delle loro condizioni di lavoro a causa dell’intelligenza artificiale, soprattutto se gli artisti saranno sconfitti nelle cause intentate contro le aziende per aver sfruttato senza permesso le loro opere nell’addestramento dei software di ia. Le cose però potrebbero andare ancora peggio.

La Microsoft sta già stringendo accordi con l’azienda di analisi dei dati Palantir per fornire l’intelligenza artificiale all’esercito e ai servizi d’informazione statunitense, mentre i governi di tutto il mondo si stanno chiedendo come impiegare l’ia generativa per ridurre i costi dei servizi pubblici, spesso senza tenere conto dei danni potenziali che potrebbero derivare dall’uso di strumenti in grado di produrre false informazioni. A questo problema fa riferimento Dan McQuillan, autore del libro Resisting ai (Bristol University Press 2022), spiegando che è il motivo fondamentale per il quale dovremmo rifiutare queste tecnologie. Ci sono già tanti esempi di algoritmi usati per danneggiare le persone che vivono di sussidi pubblici, gli immigrati e altri gruppi vulnerabili. Rischiamo di assistere al ripresentarsi o addirittura al moltiplicarsi di queste situazioni.

Quando scoppierà la bolla dell’ia alcuni investitori perderanno soldi, alcune aziende chiuderanno e alcuni lavoratori perderanno il posto. Ci saranno lunghi dibattiti sulle prime pagine dei giornali e dei siti internet e sui social network. Saranno però i danni permanenti già citati i più difficili da riconoscere nell’immediato, perché svaniranno mentre l’attenzione si sposterà su qualsiasi cosa la Silicon valley vorrà promuovere come base per il suo prossimo ciclo d’investimenti.

Spariranno tutti i benefici che Altman e i suoi colleghi hanno promesso, come sono svanite le promesse della gig economy, del metaverso, delle criptovalute e di tante altre cose. Gli usi dannosi della tecnologia però resteranno, a meno che non si prendano iniziative per limitarli.

Gli strumenti di ia generativa in sé sono una parte della bolla dell’ia. Ne esiste un’altra però da tenere presente: i giganteschi centri di elaborazione dati pieni zeppi di migliaia di server che Amazon, Google, Microsoft e altri stanno costruendo in giro per il mondo per alimentare il futuro ad alta intensità informatica a cui stanno lavorando.

Questa infrastruttura sta suscitando proteste in tutto il mondo per l’enorme consumo di acqua ed energia, ma i giganti della tecnologia stanno andando avanti, investendo centinaia di miliardi di dollari per costruirla.

Il futuro dei centri di elaborazione dati potrebbe prendere due strade diverse. Dopo la prima fase della pandemia, Amazon ha scoperto di avere sovrastimato la futura domanda di piattaforme di commercio online e di aver avviato la costruzione di molti più magazzini del necessario. Nel 2022, cercando di ridurre le spese, ha cancellato numerosi progetti di nuovi centri di distribuzione.

Qualcosa di simile potrebbe avvenire anche con quelli di elaborazione dati. Per esempio c’è già chi mette in dubbio la nascita di tre strutture di questo tipo a Auckland, in Nuova Zelanda.

D’altro canto, potremmo ripensare alla bolla della new economy all’inizio degli anni duemila, che ha alimentato la costruzione d’infrastrutture per la fibra ottica. Gli Stati Uniti si sono ritrovati con molta più fibra di quella che serviva, anche se poi l’hanno usata per sostenere l’espansione dell’economia digitale qualche anno dopo.

Di recente, dopo l’esplosione della bolla delle criptovalute, parte della potenza di calcolo usata per le operazioni di mining, cioè per creare nuove monete e convalidare le transazioni, è stata dirottata sull’addestramento dei modelli d’intelligenza artificiale e sulla loro messa in opera.

In definitiva, è probabile che i principali fornitori di servizi cloud frenino i loro piani di espansione quando la bolla dell’ia generativa finirà per sgonfiarsi, ma non li cancelleranno del tutto. Visto che Microsoft, Amazon e Google si arricchiscono grazie al fatto che le nostre vite e i servizi che usiamo hanno bisogno di una potenza di calcolo sempre più alta, senza curarsi delle conseguenze ambientali e sociali, vorranno assicurarsi che qualsiasi cosa arrivi dopo l’ia generativa avrà bisogno di server sempre più potenti, in modo da mantenerci dipendenti da loro.

Non fatevi ingannare: intorno all’intelligenza artificiale c’è una bolla, e il momento in cui scoppierà potrebbe essere più vicino del previsto. Io non vedo l’ora. È importante capire quali distorsioni sta alimentando nel settore tecnologico e nella società più in generale, ma dovremmo anche essere pronti a quello che arriverà dopo il crollo.

L’ia generativa è meno utile di quello che ci ha fatto credere il settore, e richiede una potenza di calcolo troppo alta per svolgere i compiti più semplici.

Quando però il clamore si sarà placato, ci sarà sicuramente una spinta ulteriore per rendere alcune sue applicazioni più efficienti, e le aziende cercheranno di continuare a farle funzionare nonostante le loro conseguenze sociali e ambientali. Bisognerà continuare a contrastare questi tentativi, anche quando nel settore tecnologico l’attenzione si sarà spostata sulla prossima fonte di entusiasmo collettivo. ◆ gim

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Questo articolo è uscito sul numero 1578 di Internazionale, a pagina 41. Compra questo numero | Abbonati