D opo il successo di Fidesz (il partito ultraconservatore del premier Viktor Orbán) alle elezioni legislative ungheresi, bisogna chiedersi: l’opposizione ha mai avuto la possibilità di vincere? Potevamo davvero sperare che i sei partiti di opposizione, alleati per la prima volta nella coalizione Uniti per l’Ungheria, sarebbero riusciti a sconfiggere Fidesz, permettendo al paese di superare i dodici anni che l’hanno privato della democrazia? Era giusto credere che la maggioranza degli ungheresi ne avesse abbastanza dell’autoritarismo di Orbán, della corruzione e dei criminali infiltrati al potere? Che fosse stanca di un paese in cui un uomo solo decide tutto, anche chi diventa ricco e chi è emarginato?
Noi ungheresi democratici abbiamo creduto che il nostro sarebbe diventato un paese normale. Del resto in tanti ripetevano che il popolo è saggio e alla fine decide con saggezza. Ma gli ungheresi sono soprattutto tolleranti. Non gl’importa se il potere gli racconta bugie, se saccheggia il paese davanti ai loro occhi; non gl’importa di vivere in libertà. Possono fare a meno delle regole dello stato di diritto e, finché non si confrontano direttamente con i potenti, non fanno una piega davanti alle ingiustizie.
Si dirà che scrivo queste cose per disperazione. Forse è vero. È difficile commentare i risultati del voto con distacco e obiettività. Perché un partito ha usato i soldi degli ungheresi per comprare i voti che gli hanno dato la maggioranza. E per vincere ha commesso le azioni peggiori. Si è schierato con Vladimir Putin e la sua invasione, e ha manipolato l’elettorato. Ha alimentato la psicosi di guerra, ripetendo che l’opposizione – “la sinistra” – avrebbe fatto entrare il paese nel conflitto. Sul piano morale è sprofondato sempre più in basso, fino a dichiarare che la sinistra “vuole il sangue invece del petrolio” e che è pronta a ridurre l’Ungheria in macerie. Ha diffuso notizie false, che pensavamo nessuno si sarebbe bevuto. Ci sbagliavamo.
I risultati del voto mostrano chiaramente che abbiamo interpretato male la situazione. Abbiamo commesso l’errore di scambiare i nostri pensieri per realtà. Ancora una volta, invece, gli ungheresi hanno creduto solo a Orbán. Lasciamo stare per un momento la questione dei brogli e di come l’intero sistema politico sia stato monopolizzato da Fidesz. Se gli elettori avessero creduto ai partiti di opposizione – o, meglio, se ne avessero indovinato i progetti – il sistema elettorale, piegato agli interessi del partito di Orbán, si sarebbe raddrizzato. Ma non è successo. Orbán può formare il governo e il regime può continuare. L’Ungheria è l’unico paese dell’Unione europea vicino alla Russia di Putin. Anche se ci aspettano grandi difficoltà economiche, noi ungheresi non dobbiamo farci illusioni: al centro ci sarà di nuovo il controllo dell’informazione. E i cittadini rimarranno a guardare, in silenzio anche con le tasche vuote, mentre il governo gli ripete che va tutto bene. In Ungheria Orbán può fare ciò che vuole. Solo in Europa il nostro premier diventa un paria. Come tutti noi ungheresi. ◆ ct
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Questo articolo è uscito sul numero 1455 di Internazionale, a pagina 42. Compra questo numero | Abbonati