Incredibilmente paradossale. È quello che ci diciamo di fronte allo splendore del panorama in questa mattina di sole: dietro agli scintillanti fiori gialli di ginestra, alcuni pini marittimi si stagliano contro il cielo azzurro, sopra il blu intenso del mare. Le sfumature di verde dei boschetti e delle vigne si estendono come un mosaico fino alla cittadina di Banyuls-sur-Mer, più in basso, pennellate di rosa e bianco lungo il profilo della costa.
Qui il Mediterraneo ha conservato la sua bellezza serena. Ma il sentiero che offre questa vista, prima di superare il colle e la frontiera per scendere verso la cittadina della Catalogna spagnola di Portbou, è segnato dalla tragedia. Da una quindicina d’anni si chiama sentiero Walter Benjamin, in onore dell’intellettuale ebreo tedesco che lo percorse in fuga dal nazismo, prima di suicidarsi nel piccolo porto spagnolo il 26 o il 27 settembre 1940, quando la polizia del regime di Franco gli rifiutò l’ingresso e minacciò di rimandarlo nella Francia di Vichy, complice della Gestapo.
Quindici chilometri di cammino, quasi 600 metri di dislivello, una decina d’ore di sofferenza per un uomo che a 48 anni aveva problemi al cuore ed era già logorato nel fisico. Una fuga diventata una trappola mortale. Il sentiero che si snoda nella luce del sud si trasforma così in un cammino di disperazione e sconfitta.
Lasciamo Banyuls-sur-Mer quando le ombre sono ancora lunghe e passiamo davanti a una semplice stele in acciaio in memoria di “Lisa e Hans Fittko e di tutti gli altri”. Lisa Fittko, tedesca ed esponente della resistenza antinazista, per sette mesi fece da guida lungo queste strade a centinaia di persone che cercavano di sfuggire ai nazisti. I passaggi erano organizzati due o tre volte a settimana. Benjamin fu il primo e l’unico a non riuscire nell’impresa.
Lisa e Hans Fittko lavoravano per la rete dello statunitense Varian Fry, che aiutò migliaia di persone a lasciare l’Europa. A loro volta furono aiutati da Vincent Azéma, il sindaco di Banyuls-sur-Mer, e dal suo amico Julien Cruzel, sindaco di Cerbère, la città di frontiera che s’intravede in basso passato il colle. Entrambi erano militanti della Sezione francese dell’Internazionale operaia (Sfio).
Verso il suicidio
L’itinerario usato riprendeva in parte la strada Lister, dal nome del generale repubblicano spagnolo che un anno prima lo aveva percorso nel senso opposto con i suoi soldati. Mentre seguiamo il sentiero che s’inerpica tra macchia e vigne sotto un cielo senza nuvole, pensiamo che questa strada dovrebbe celebrare il coraggio di tutti quelli che l’hanno attraversata per andare verso la libertà, in entrambe le direzioni. E in effetti sui cartelli che indicano il sentiero Walter Benjamin una mano anonima ha aggiunto con il pennarello blu “& Lisa Fittko (+ many others)”. Ma il filosofo e critico tedesco è una figura più spendibile, così la strada F., dove F sta per Fittko, è ormai diventata il sentiero Benjamin. Nel 2020 anche il libro di memorie di Fittko è stato ristampato in Francia con il nuovo titolo Chemin Walter Benjamin.
In un primo momento cerchiamo di ritrovare i luoghi evocati da Lisa Fittko: “la piana dei sette pini”, “la stalla vuota”, lo spiazzo dove Benjamin, stremato dopo tre ore di cammino, passò la notte mentre Fittko andava a procurarsi da mangiare. Ma con il sentiero che si snoda tra il malva dei cardi e l’oro dei semprevivi e il profumo di timo portato dal vento dimentichiamo presto il nostro obiettivo per ammirare le creste azzurre e una vallata con una casa solitaria protetta dai cipressi. Le lucertole scivolano tra le pietre dei muri a secco che portano le vigne fin sui punti più alti della montagna.
In equilibrio sul pendio, in pieno sole, un giovane strappa le erbacce tra i filari. Qui la viticoltura è un’attività faticosa. Ma Jean-Emmanuel Parcé è sorridente e ci accoglie con calore. È il figlio di uno dei tre fratelli che hanno fatto della Rectorie una delle più belle cantine della zona. Ma ora abbiamo bisogno soprattutto d’acqua.
Superata l’ultima vigna ricordata da Lisa Fittko nelle sue memorie, arriviamo alla fonte dove i fuggitivi si rinfrescavano, oggi prosciugata. Poi il percorso si perde tra i cespugli, le radici e i ghiaioni. Immaginiamo Benjamin con le sue scarpe da città sulle pietre taglienti mentre si concede qualche istante di riposo durante il cammino. Ha affidato a un’altra persona la sua pesante sacca di cuoio e il suo “ultimo manoscritto, il più importante”.
Chissà, forse sul colle di Rumpissa ha condiviso l’emozione di Lisa Fittko davanti al paesaggio: “Di fronte a noi delle scogliere scendono a picco su una superficie verde turchese […] la costa spagnola! Dietro di noi […] la Costa vermiglia, con i suoi colori autunnali e una gamma infinita di gialli e ocra […]. Non avevo mai visto nulla del genere”.
In Spagna il sentiero è invaso dalla macchia che graffia la pelle, le rocce sono gradini alti da superare e la segnaletica è incerta. I pannelli commemorativi che raccontavano la vita e l’opera di Benjamin oggi sono solo lastre di metallo arrugginite con parole illeggibili. Tuttavia i fichi d’India ricordano quelli di uno dei suoi più bei racconti tra quelli ambientati a Ibiza, scritti sull’isola tra il 1932 e il 1933, nel suo primo anno d’esilio.
Nel Mediterraneo Benjamin ha vissuto dei momenti di vera felicità, ed è stato uno scrittore capace di evocare sensualità, non solo un profeta e martire della catastrofe, come oggi lo ricordano alcuni suoi incensatori. A Portbou una targa di marmo sulla facciata di un palazzo color terra di Siena indica il luogo dove Benjamin morì, la pensione Francia.
Dopo aver conosciuto l’esilio, i campi d’internamento e la clandestinità, Benjamin non poteva sopportare l’idea di tornare in Francia e ingerì un’ingente dose di morfina. Il suo ultimo manoscritto non è mai stato ritrovato. Ebreo, fu sepolto tra i cattolici in un piccolo cimitero che guarda il mare. Come quello di Collioure, dove riposa Antonio Machado, il poeta spagnolo che nel 1939 aveva preso la strada dell’esilio in senso inverso. O quello di Sète, dov’è sepolto Paul Valéry, che Benjamin stimava. Lungo questa costa i cimiteri sono dei pantheon.
Davanti a quello di Portbou il memoriale realizzato da Dani Karavan, artista israeliano morto nel maggio 2021, è una magnifica metafora: un tunnel di ferro con i gradini che si immergono nell’acqua blu. Il suo titolo, Passatges (Passaggi), è anche il nome dell’associazione fondata dalla storica e critica d’arte Pilar Parcerisas per coltivare la memoria e l’opera di Benjamin. Ogni mese, a settembre, una scuola estiva riunisce pensatori e artisti internazionali: “Quest’anno il tema è stato l’Europa e le sue frontiere”, spiega Parcerisas, seduta di fronte alla piccola baia che incornicia l’orizzonte. “Abbiamo presentato anche il progetto della Casa Walter Benjamin”. Biblioteca e centro studi, sarà gestita dalla fondazione Angelus Novus, chiamata così in onore del piccolo acquarello di Paul Klee comprato da Benjamin nel 1921, che accompagnò i suoi viaggi e alimentò il suo pensiero.
Più tardi, nella monumentale stazione di Portbou, alcuni poliziotti controllano tre giovani maghrebini: per passare il confine i migranti cercano d’infilarsi su un treno o rischiano la vita a piedi nel tunnel. La lotta al terrorismo – ragione ufficiale della chiusura delle strade secondarie – e le restrizioni dovute alla pandemia hanno reso le frontiere sempre più impermeabili.
A Perpignan il sindaco Louis Aliot, del Rassemblement national, il partito di Marine Le Pen, ha dovuto togliere il nome di Benjamin da un centro culturale in seguito a una petizione che voleva impedire all’estrema destra di sfruttare la figura del filosofo: l’“Angelo della storia” che nel suo ultimo libro sorvolava un’Europa in rovina è in mezzo a nuove tempeste. Ma stasera a Banyuls-sur-Mer la tramontana ha trasformato il crepuscolo in un acquarello ramato. ◆ adr
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Questo articolo è uscito sul numero 1433 di Internazionale, a pagina 78. Compra questo numero | Abbonati