Era una delle tante stranezze di un’economia pensata per tempi di pace, e non di guerra: fino a ieri la Russia pagava l’Ucraina per vendere gas russo ai clienti europei. Nonostante la guerra che dura dal 2022, l’aggressore e l’aggredito si spartivano i ricavi del gas. Allo scadere del contratto, il 1 gennaio 2025, il governo di Volodymyr Zelenskyj ha preferito rinunciare a 1,2 miliardi di dollari, lo 0,5 per cento del pil, pur di rompere i legami con la Russia, che rischia di perdere 6,5 miliardi di dollari all’anno se non trova altri compratori per quel gas.
Può sembrare un paradosso che l’Ucraina fosse ancora in affari con la Russia, ma c’era almeno un aspetto positivo: l’esercito di Vladimir Putin non colpiva i tubi e le infrastrutture energetiche. Inoltre, i paesi più filorussi d’Europa che ancora compravano gas dalla Russia, come la Slovacchia, avevano almeno un qualche interesse a evitare la distruzione completa dell’Ucraina.
La guerra spinge a rompere i legami economici e commerciali, ma così il costo marginale della violenza (direbbero gli economisti) si riduce, e dunque la pace diventa più difficile. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1596 di Internazionale, a pagina 96. Compra questo numero | Abbonati