È l’ultimo caso in ordine di tempo. Da mesi sembra che ai giudici egiziani sia stato dato l’ordine di dedicarsi ad alcuni fascicoli che hanno avuto molta rilevanza sui mezzi d’informazione, relativi a detenuti politici con un’ampia visibilità all’estero. Khaled Daoud, Hossam el Sayed, Solafa Magdy, Hossam Bahgat e ora Patrick Zaki: questi nomi di prigionieri noti al grande pubblico stonavano nell’operazione di lifting del regime di Abdel Fattah al Sisi, che cerca di ridare lustro alla sua immagine dopo il moltiplicarsi delle critiche per il deterioramento delle libertà fondamentali in Egitto. Le sentenze emesse dalla primavera scorsa hanno permesso d’inviare un nuovo segnale rivolto agli alleati stranieri, Washington in testa: quello di un regime pronto a voltare pagina dopo gli “anni dell’emergenza”. Almeno in apparenza.
Un gesto di buona volontà, sicuramente parziale: in questo senso va letta la decisione presa il 7 dicembre di liberare l’attivista per i diritti umani Patrick Zaki, detenuto da ventidue mesi, in attesa di un processo che dovrebbe svolgersi il 1 febbraio 2022 a Mansura, a nord del Cairo. Zaki è accusato, tra le altre cose, di “diffusione d’informazioni false”, di “incitamento alla violenza e al terrorismo” e di aver esortato a “manifestare senza autorizzazione”.
Patrick Zaki, 28 anni, era ricercatore dell’ong Egyptian initiative for personal rights (Iniziativa egiziana per i diritti della persona, Eipr), e studiava all’università di Bologna, in Italia, quando è stato arrestato al suo ritorno al Cairo il 7 febbraio 2020. Si era impegnato perché si facesse luce sulle circostanze della morte del ricercatore italiano Giulio Regeni, sequestrato, torturato e ucciso dalle forze del regime nel 2016. L’arresto di Zaki ha scatenato una grande campagna di solidarietà, soprattutto in Italia. Ad aprile il senato italiano ha approvato un ordine del giorno per dare la cittadinanza italiana a Zaki, mentre una cinquantina di comuni gli hanno conferito quella onoraria.
“Faccio i salti di gioia”, ha detto la madre, festeggiando la liberazione del figlio, uscito di prigione nel pomeriggio dell’8 dicembre. Anche gli ex colleghi dell’ Eipr, la comunità di attivisti egiziani e le persone che l’hanno sostenuto all’estero hanno accolto la notizia come un raro successo. “Ma questa vittoria ha un retrogusto amaro: Zaki ha già trascorso due anni dietro le sbarre, in una detenzione ingiusta e in condizioni deprecabili”, ha commentato Amr Magdy, ricercatore di Human rights watch, precisando che al momento dell’arresto Zaki è stato torturato.
Gli affari vanno avanti
La sua incarcerazione è avvenuta nel contesto di una campagna d’intimidazione condotta contro tutto il personale dell’Eipr, una delle ultime organizzazioni a operare per il rispetto delle libertà fondamentali in Egitto. L’ex direttore Gasser Abdel Razek, il ricercatore Karim Ennarah e il responsabile dell’amministrazione Mohamed Basheer sono stati arrestati nel novembre 2020 e rilasciati qualche settimana dopo dietro la pressione di una campagna di solidarietà internazionale. Il 29 novembre il direttore Hossam Bahgat è stato condannato a una multa di diecimila lire egiziane (563 euro), evitando il carcere.
Ma nonostante alcuni segni di distensione, tra cui la fine dello stato d’emergenza in vigore quasi ininterrottamente dal 1981, gli osservatori sostengono che il regime si limita a “misure cosmetiche” per sedurre l’occidente, ma che cambiano nulla o molto poco nella vita quotidiana degli egiziani. Arrivato al potere in seguito a un colpo di stato nel 2013, Al Sisi regna sul paese con il pugno di ferro, attuando una repressione brutale che ha portato all’incarcerazione di sessantamila prigionieri politici. Ma usando il pretesto della “lotta al terrorismo” il presidente egiziano ha saputo ammansire i governi occidentali, in particolare Parigi, con cui l’Egitto ha continuato a fare affari su armi e sicurezza. Alla fine di novembre l’ong Disclose ha pubblicato una serie di rivelazioni sull’uso improprio degli aiuti militari francesi in operazioni in cui l’esercito egiziano ha bombardato i civili. ◆ fdl
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Questo articolo è uscito sul numero 1440 di Internazionale, a pagina 28. Compra questo numero | Abbonati