La Giamaica è uno stato insulare dei Caraibi caratterizzato da scarsa crescita economica e alta criminalità. Anche la disoccupazione giovanile è elevata. Periodicamente, inoltre, venti devastanti spazzano l’isola, le mareggiate allagano le coste e non mancano i terremoti. L’economia dipende soprattutto dalle esportazioni di bauxite e dal turismo, ed è minacciata dalle fluttuazioni dei prezzi delle materie prime. Negli ultimi dieci anni, tuttavia, il paese è riuscito a dimezzare il rapporto tra il pil e il debito pubblico, passando dal 147 per cento del 2012 al 73 per cento di oggi. È un risultato quasi unico.

Di solito un paese riduce il debito pubblico grazie a una crescita economica sostenuta, che gli permette di raccogliere più tasse e ridurre le spese per il welfare. Questo non è il caso della Giamaica, che negli ultimi anni ha registrato una crescita media annuale inferiore all’1 per cento. Kingston ha scelto di risparmiare e di aumentare le entrate fiscali. Così ha registrato per anni un avanzo primario (la differenza tra entrate e spese, senza gli interessi sul debito) pari al 7 per cento del pil.

Per comprendere quanto sia straordinario il dato basta ricordare il caso della Grecia: al culmine della sua crisi finanziaria, il governo di Atene si è a lungo opposto alla richiesta dell’Unione europea e del Fondo monetario internazionale di portare l’avanzo primario al 4 per cento. Oggi la Grecia, con un debito pubblico del 150 per cento e un avanzo primario dell’1,1 per cento registrato nel 2023, è celebrata come un modello di successo.

L’economista statunitense Barry Eichengreen ha studiato insieme ad alcuni colleghi il caso della Giamaica per capire come sia riuscita a procedere lungo la strada dell’austerità. Nel 2010 la situazione, con un debito pubblico pari a quasi il 150 per cento del pil, sembrava disperata e l’accesso ai mercati finanziari era bloccato, spiega Eichengreen. Precedenti tentativi di ridurre il debito pubblico avevano provocato una crisi bancaria. Diversi programmi del Fondo monetario erano stati sospesi perché il paese non aveva rispettato le loro condizioni.

“Quando si è con le spalle al muro, non necessariamente si cercano riforme e compromessi”, dice l’economista. Ma in Giamaica è stato così. Politici del governo e dell’opposizione, rappresentanti di organizzazioni non governative, sindacati e istituti di credito hanno trovato un accordo per varare un patto sociale, la Partnership of Jamaica. Hanno sostenuto le politiche di austerità, assicurandosi che il peso sia distribuito equamente. I portavoce del patto hanno girato il paese per spiegare alla gente dei villaggi il nuovo corso. Neanche un cambio di governo ha interrotto le politiche concordate.

Un ingrediente decisivo

Il fatto che l’élite giamaicana abbia sostenuto il programma di austerità con tagli agli stipendi nel settore pubblico, misure di risparmio e aumenti delle tasse è stato, secondo Eichengreen, un ingrediente decisivo della ricetta giamaicana. Inoltre, il paese si è dotato di regole fiscali che obbligavano il ministero delle finanze a presentare un piano strategico per ridurre il debito al 60 per cento del pil e a informare regolarmente e in modo trasparente l’opinione pubblica sulle misure adottate e sui progressi. La politica di bilancio di Kingston ha guadagnato ulteriore credibilità grazie alle clausole che permettevano di reagire in situazioni eccezionali. Durante la pandemia, per esempio, il governo ha sospeso temporaneamente il rigoroso piano d’austerità per aiutare le fasce di popolazione e le aziende più colpite.

Secondo Eichengreen, il patto giamaicano riflette esperienze e condizioni specifiche del paese che sarebbero difficili da replicare altrove: “La Giamaica ha trovato una ricetta che funziona per la Giamaica”. L’economista individua due paesi con situazioni simili: l’Irlanda degli anni ottanta e le Barbados degli anni novanta. In generale il risanamento dei conti riesce meglio quando la polarizzazione politica è bassa, sostiene Eichen­green. Ma la cosa più importante da chiedersi è se gli stati fanno bene a cercare di ridurre il debito.

L’interpretazione dell’economista Peter Doyle getta una luce più cupa sui risultati giamaicani. A suo avviso le politiche di austerità erano cominciate già all’inizio degli anni novanta. Da quel momento il paese ha registrato in media ogni anno un avanzo primario del 7 per cento e una misera crescita economica dello 0,3 per cento. Doyle confronta lo sviluppo della Giamaica con un gruppo di otto paesi che trent’anni fa avevano all’incirca la sua stessa potenza economica, tra cui la Repubblica Dominicana, lo Sri Lanka, la Thailandia e l’Indonesia. Secondo l’economista, questi paesi avevano in media un deficit primario annuale dello 0,3 per cento, ma tra il 1990 e il 2019 hanno registrato una crescita significativamente più rapida di quella della Giamaica, a parità di potere d’acquisto. Secondo il Fondo monetario, lo Sri Lanka è riuscito a triplicare il reddito pro capite, la Repubblica Dominicana l’ha raddoppiato, mentre Kingston è rimasta più o meno allo stesso livello. La Giamaica, conclude Doyle, avrebbe potuto essere molto più ricca applicando le soluzioni degli altri paesi.

Mancanza di risorse

Le conseguenze del rigido piano d’austerità si notano. I tribunali e la polizia hanno pochi finanziamenti, un fatto che favorisce l’alto tasso di criminalità. Anche l’istruzione e la sanità soffrono per la mancanza di risorse. I fondi d’emergenza per le frequenti catastrofi naturali sono scarsi. La Banca mondiale ha fatto notare che le politiche d’austerità e la mancanza d’investimenti pubblici hanno frenato la crescita. Doyle ammette che nel 2010, quando il debito era a livelli record, qualcosa andava fatto. L’economista ricorda che alla Polonia, che oggi ha un’economia fiorente, fu concesso un alleggerimento del debito, perché questa misura era in linea con gli interessi strategici di potenze come la Germania e gli Stati Uniti. La Giamaica non ha mai avuto un vantaggio simile.

Eichengreen non esclude che un allentamento delle politiche d’austerità avrebbe potuto contribuire alla crescita. Ma aggiunge che in Giamaica altri fattori possono aver influito sull’economia più delle tasse elevate. Cosa sarebbe successo se si fosse presa una strada diversa? Per Eichengreen manca ancora un modello adatto per rispondere con esattezza a questa domanda. ◆ nv

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Questo articolo è uscito sul numero 1562 di Internazionale, a pagina 99. Compra questo numero | Abbonati