Gli Stati Uniti e l’Unione europea hanno raggiunto un accordo sulla protezione dei dati, il cosiddetto Privacy shield, che consentirà alle aziende di registrare i dati personali degli europei sui server statunitensi.
La cosa mette fine a uno stallo di tre mesi, cominciato quando la corte europea di giustizia aveva annullato l’accordo precedente, il Safe harbour, ritenendo che non offrisse sufficiente protezione dalle intromissioni dei servizi segreti americani.
Se non si fosse riusciti a trovare un accordo si sarebbe potuta scatenare una pericolosa disputa legale, perché le agenzie nazionali europee per la protezione dei dati avrebbero potuto considerare illegale qualsiasi trasferimento di dati oltreatlantico.
Gli attivisti che si battono per la privacy in Europa considerano il nuovo accordo derisorio
Il concetto di protezione dei dati è completamente diverso in Europa e negli Stati Uniti: in Europa la protezione dei dati è considerata un importante diritto della persona, mentre negli Stati Uniti si tratta più che altro di una tutela dei consumatori. Inoltre la National security agency statunitense (Nsa, la più importante agenzia d’intelligence elettronica del mondo) risveglia in Europa le paure di uno spionaggio incontrollato.
L’Unione europea non ha una sua agenzia d’intelligence, quindi è impossibile conoscere i compromessi tra privacy e sicurezza che esistono nei singoli paesi (dove i vertici dei servizi di sicurezza sono felici e grati di cooperare con l’Nsa). A trovarsi in una posizione delicata sono le aziende che si occupano di tecnologia e di internet: le più grandi potrebbero creare dei centri dati solo per l’Europa, ma le più piccole potrebbero decidere che fare affari attraverso l’Atlantico è troppo complicato.
In seguito alle rivelazioni sull’Nsa fatte da Edward Snowden, l’analista che lavorava per l’agenzia poi fuggito a Mosca, gli Stati Uniti hanno cambiato strategia.
Nel gennaio 2014 Barack Obama ha annunciato delle misure che per la prima volta offrivano ai dati degli stranieri alcune protezioni legali. Ma il nuovo accordo prevede ulteriori compromessi. Gli Stati Uniti introdurranno un difensore civico per la privacy digitale, mentre gli europei che si sentiranno danneggiati potranno fare ricorso in tribunale. L’accordo sarà inoltre rinegoziato ogni anno. La Commissione europea e i negoziatori statunitensi stanno ancora definendo alcuni dettagli: l’annuncio del 2 febbraio è il segno di un accordo politico, non di un accordo legale pienamente definito.
Sarà abbastanza? Gli attivisti che si battono per la privacy in Europa considerano il nuovo accordo una farsa. Non credono che un’agenzia del governo statunitense che agisce in segreto possa sentirsi vincolata a rispettare delle regole. Gli europei non sapranno mai se qualcuno spia nei loro dati, quindi a che serve dargli il diritto di rivolgersi a un tribunale? Probabilmente il nuovo accordo sarà esaminato dalla corte europea di giustizia.
Ma se la Commissione europea dovesse dire alla corte che ora la protezione della privacy fornita dagli Stati Uniti è adeguata, sarà molto difficile che i giudici possano bocciare l’accordo. I dati continuano a scorrere da una parte all’altra dell’oceano, e le persone i cui posti di lavoro, profitti e contratti dipendono da quei dati sembrano essere molto più al sicuro.
(Traduzione di Federico Ferrone)
Questo articolo è stato pubblicato dal settimanale britannico The Economist.
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