L’11 gennaio 2017 la corte costituzionale italiana si esprimerà sulla legittimità dei tre referendum presentati dalla Cgil per abrogare alcune norme contenute nel pacchetto di riforme del lavoro comunemente chiamato jobs act. Se i referendum avessero il via libera della consulta, potrebbero svolgersi nella primavera del 2017. I referendum hanno già superato il vaglio della cassazione il 9 dicembre. Uno dei quesiti referendari, il più discusso, riguarda l’abolizione dei cosiddetti voucher, ossia la forma di retribuzione del lavoro accessorio attraverso dei buoni. Ecco cosa sono i voucher e come funzionano.
Cosa sono i voucher. Sono dei buoni lavoro erogati dall’Inps con cui il datore di lavoro può pagare alcuni tipi di prestazioni accessorie, cioè che non sono riconducibili a contratti di lavoro in quanto svolte in modo saltuario. I voucher erano stati introdotti già nel 2003 per far emergere dall’irregolarità alcune forme di lavoro occasionale come le ripetizioni scolastiche o le pulizie, ma negli anni ne è stato legittimato l’uso per quasi tutti i tipi di lavoro.
Il jobs act ha esteso da cinquemila a settemila euro la cifra netta che è possibile guadagnare in un anno con i voucher. Questo fattore, insieme ad altre misure del jobs act che hanno diminuito le altre forme di lavoro precario, ha determinato un aumento dell’uso dei voucher da parte dei datori di lavoro. Un incremento che ha sollevato parecchie critiche perché è stato giudicato come un tentativo di rendere sempre più precario e deregolamentato il mercato del lavoro
Secondo alcuni analisti e secondo il sindacato, infatti, molti datori di lavoro usano i voucher per retribuire una parte delle ore di lavoro svolte, pagando in nero il resto e sottraendosi così ai controlli e alle sanzioni. Secondo gli ultimi dati diffusi dall’Inps, l’uso di voucher è aumentato del 32 per cento nei primi dieci mesi del 2016, mentre nei primi dieci mesi del 2015 era aumentato del 67 per cento rispetto allo stesso periodo del 2014.
Come funzionano. I buoni lavoro sono disponibili nei tagli da dieci, da 20 e da 50 euro per i quali il lavoratore incassa rispettivamente 7,5 euro, 15 euro e 37,5 euro. Il resto copre i contributi: il 13 per cento viene versato alla gestione separata dell’Inps, il 7 per cento all’assicurazione Inail, mentre il 5 per cento va all’Inps per la gestione servizio. Quello che viene incassato dal lavoratore occasionale attraverso i voucher è esentasse e non va indicato nella dichiarazione dei redditi, non incide sullo status di disoccupato o inoccupato, è compatibile con i versamenti volontari, è cumulabile con altri trattamenti pensionistici.
I datori di lavoro possono acquistare i voucher con la procedura telematica sul sito dell’Inps, dai tabaccai convenzionati, con il servizio di internet banking delle banche Intesa Sanpaolo, nelle banche abilitate e nelle sedi di Poste Italiane.
Chi sono i lavoratori pagati con i voucher. Secondo un’indagine dell’Inps del 16 maggio del 2016, nel 2015 i lavoratori retribuiti con i buoni lavoro sono stati 1,38 milioni, di cui il 29 per cento occupato in aziende private: tra questi il 46 per cento aveva un contratto a termine. Un altro 26 per cento è rappresentato da disoccupati senza sussidi, in maggioranza donne (57 per cento). Il 18 per cento sono disoccupati che beneficiano di ammortizzatori sociali, mentre gli inoccupati rappresentano il 14 per cento, nella maggioranza dei casi giovani che hanno vent’anni. I pensionati sono l’8 per cento, la maggior parte impiegata in attività agricole, mentre un altro 8 per cento è composto da lavoratori di vario tipo, tra cui operai agricoli, autonomi, professionisti, dipendenti pubblici.
Perché i voucher sono criticati. Secondo la Cgil e altri analisti, i voucher possono dare luogo a degli abusi. In base ad alcune denunce, i datori di lavoro li avrebbero usati per mascherare delle forme di lavoro nero. Per esempio, i voucher sarebbero stati usati per retribuire una parte del lavoro svolto in modo da tutelare l’azienda durante i controlli dell’ispettorato del lavoro. In caso d’ispezione, infatti, il datore di lavoro che avesse pagato una parte dello stipendio in nero avrebbe potuto giustificare con il voucher la presenza del lavoratore in azienda al momento del controllo. Per questo, il governo dal settembre 2016 ha introdotto norme più stringenti: il datore di lavoro è tenuto a comunicare oltre al nome del lavoratore e al giorno in cui sarà svolta la mansione, anche l’orario di inizio e di fine dell’attività svolta.
Per molti critici, comunque, il ricorso ai voucher favorisce la precarizzazione del lavoro e la mancanza di tutele per i lavoratori. Il datore di lavoro, infatti, può elargire al massimo duemila euro in voucher per ogni lavoratore, ma non deve rispettare un tetto massimo di lavoro e di lavoratori che può retribuire con i voucher. Questo favorisce un turn over dei lavoratori pagati con i voucher.
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