I parrucchieri tendono a essere a prova di recessione. La gente ha sempre bisogno di tagliarsi i capelli. Durante la crisi finanziaria del 2007-2009 il numero di parrucchieri negli Stati Uniti è perfino aumentato. Per Sylvia, titolare di un piccolo salone ad Amsterdam, quella crisi è stata molto diversa da quella attuale. “Il lockdown è arrivato dal nulla. Non avevo una rete di salvataggio”. Quando ha riaperto l’attività, Sylvia si è commossa davanti alle telefonate dei clienti abituali. “Se fosse durata ancora un po’ sarei stata costretta a fallire”, ammette cercando di nascondere le lacrime mentre disinfetta la poltrona occupata dall’ultimo cliente.
Le donne sono state particolarmente colpite dai disagi economici dovuti alla pandemia. Negli Stati Uniti rappresentano meno di metà della forza lavoro, eppure ad aprile il 55 per cento delle persone licenziate era di sesso femminile. Secondo il gruppo Institute for fiscal studies (Ifs) nel Regno Unito le madri hanno il 50 per cento di probabilità in più di aver perso o abbandonato il lavoro durante il lockdown rispetto ai padri.
Questa differenza riflette il fatto che le donne lavorano più spesso in servizi che richiedono un contatto con il pubblico. Gli hotel e i negozi sono stati chiusi e il lavoro non si poteva svolgere da casa. Gli asili nido e le scuole sono stati chiusi, cosa che ha portato alcune donne a smettere di lavorare e altre a lavorare di meno per occuparsi dei bambini. Se la perdita di produttività e d’impiego proseguirà, il rischio è quello di cancellare i passi avanti fatti finora verso la parità di genere sul posto di lavoro.
Rischi maggiori
La situazione attuale è molto diversa rispetto alle recessioni del passato. Di solito una crisi economica penalizza soprattutto gli uomini, che dominano i settori più colpiti come quello manifatturiero o quello edile. Secondo Matthias Doepke della Northwestern university, negli Stati Uniti, e Michele Tertilt dell’università di Mannheim, in Germania, tre quarti delle fluttuazioni cicliche nell’occupazione registrate tra il 1989 e il 2014 erano dovute alla perdita e al recupero del posto di lavoro da parte degli uomini. Le donne, invece, hanno avuto un ruolo stabilizzante. L’impiego nei servizi, dominato dalle donne, tende a essere meno volatile. Inoltre, quando il marito perde il posto, spesso le mogli trovano un impiego o aumentano l’orario di lavoro.
Ma stavolta i settori che prevedono interazioni con il pubblico, come quello dell’accoglienza, hanno sofferto di più. Negli Stati Uniti la sanità e l’istruzione non sono state risparmiate, e il numero di donne che hanno perso il lavoro è cinque volte superiore rispetto agli uomini. Le aziende gestite dalle donne spesso si basano sui rapporti con la clientela, ed è per questo che secondo uno studio condotto da Nicholas Bloom e Robert Fletcher, dell’università di Stanford, per le imprenditrici il rischio di un calo nelle vendite a causa del covid-19 è molto più elevato.
L’evoluzione della crisi per i cosiddetti settori “rosa” dipende dalla possibilità che i clienti tornino alle abitudini passate dopo la fine delle restrizioni. I cambiamenti strutturali potrebbero comportare una riduzione nel numero di assistenti di volo e organizzatrici di eventi, mentre molti congedi temporanei potrebbero diventare definitivi a causa dei fallimenti delle aziende.
Le madri che lavorano da casa hanno il 50 per cento di probabilità in più di essere interrotte rispetto ai padri
Secondo una ricerca condotta da Abi Adams-Prassl, dell’università di Oxford, le donne del Regno Unito hanno il 15 per cento di probabilità in più di perdere il lavoro e l’8 per cento di probabilità in più di essere messe in congedo non retribuito. Tra le possibili spiegazioni di questo fenomeno ci sono la discriminazione e il fatto che alcune donne, costrette a occuparsi dei figli, hanno scelto di lasciare il lavoro.
Le donne più qualificate hanno minore probabilità di perdere l’impiego, ma sono costrette a trovare un equilibrio tra il lavoro da casa e la cura dei figli. Secondo Almudena Sevilla, dell’University college London, e Sarah Smith, dell’università di Bristol, le famiglie britanniche con figli piccoli devono affrontare 40 ore di attività in più tra cura dei bambini e insegnamento da casa. In media i due terzi sono svolte dalle madri.
Claudia Goldin, dell’università di Harvard, teme che la fine graduale del lockdown possa danneggiare gravemente la carriera delle donne. Dato che i posti di lavoro riaprono prima degli asili, alcune coppie potrebbero essere costrette a decidere chi può tornare al lavoro e chi invece dovrà continuare a occuparsi dei bambini. È probabile che a restare in casa sarà chi guadagna meno, spesso la donna.
Inoltre, secondo l’Ifs, le madri che lavorano da casa hanno il 50 per cento di probabilità in più di essere interrotte rispetto ai padri. Questa tendenza a chiamare “maaamma”, evidente anche quando la donna guadagna più dell’uomo, potrebbe compromettere la possibilità di aumenti e promozioni. “Ho paura che vedremo le conseguenze di tutto questo solo tra due o tre anni, con una crescita della disparità di genere rispetto agli stipendi”, spiega Vera Troeger dell’università di Warwick, nel Regno Unito. Il contesto accademico offre un anticipo di quello che potrebbe succedere. Diverse riviste accademiche hanno registrato un calo delle proposte da parte delle donne durante la pandemia, mentre quelle degli uomini sono aumentate.
La pandemia, almeno, ha reso normale il lavoro da remoto. Prima solo uno statunitense su 50 lavorava da casa a tempo pieno. Ad aprile lo faceva più di uno su tre. Secondo Bloom, una volta riuscito l’esperimento, “non torneremo più alle vecchie abitudini”. Si tratta sicuramente di una buona notizia per la madri, che tendono a scegliere occupazioni compatibili con la cura dei bambini privilegiando orari ridotti e spostamenti limitati. Tuttavia questo fenomeno porterà benefici soprattutto alle laureate, che hanno lavori che si possono più facilmente svolgere da casa. Le donne meno istruite non possono contare nemmeno su questo risvolto positivo. Nel loro caso il calo di offerte di lavoro e l’aumento delle incombenze familiari creano prospettive di impiego scoraggianti.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
Questo articolo è uscito sull’Economist
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