Il 9 luglio, all’arrivo della torcia olimpica, il cielo si è fatto nuvoloso sopra lo stadio Komazawa di Tokyo. A causa della pandemia, la tradizionale staffetta pubblica della torcia era stata sostituita da una piccola cerimonia a porte chiuse nello stadio. All’esterno i manifestanti esibivano cartelli con su scritto “Proteggete le vite, non le Olimpiadi”, e “Spegnete la torcia olimpica”. Come ha spiegato Kyogoku Noriko, un funzionario pubblico, “non è questo il momento per un evento aperto agli spettatori”. Altri, più entusiasti, facevano la fila su una passerella pedonale poco lontana, sperando di cogliere un’immagine della fiamma attraverso le travi dello stadio. Per Honma Taka, un impiegato, la torcia gettava “un po’ di luce nelle tenebre”.

Honma ha ricordato con nostalgia una giornata più luminosa di otto anni fa quando, nello stesso parco, si era unito a migliaia di altre persone per festeggiare il momento in cui Tokyo aveva ottenuto il diritto di organizzare i giochi olimpici. Shinzo Abe, il premier giapponese di allora, aveva dichiarato di essere più felice di quando era diventato primo ministro. Abe vedeva nelle Olimpiadi un’opportunità di dare forza al suo ottimistico motto “Il Giappone è tornato”. Sperava che i giochi avrebbero aiutato il paese a uscire dalle tenebre dopo decenni di stagnazione economica, declino demografico e devastanti disastri naturali. I giochi, come spiega Taniguchi Tomohiko, consulente speciale di Abe, erano considerati la fonte di “un bene raro: la speranza per il futuro”.

Questi grandi progetti avevano un potente precedente nelle Olimpiadi di Tokyo del 1964. Appena due decenni dopo la sconfitta nella seconda guerra mondiale, quei giochi avevano finito per incarnare sia la rinascita del Giappone dalle sue ceneri sia il suo ritorno nella comunità internazionale. Tokyo, ridotta in cenere dai bombardamenti statunitensi, era stata tirata a lucido. Erano state costruite nuove strade e ferrovie, oltre al primo shinkansen, o treno ad alta velocità. “Negli anni sessanta c’era la sensazione che la vita di tutti i giorni stesse diventando più ricca: che l’oggi fosse meglio di ieri, e che il domani migliore dell’oggi, e le Olimpiadi diventarono un simbolo di questo processo”, dice Togo Kazuhiko, un ex ambasciatore che era uno studente all’epoca. L’eccitazione lasciò un’impressione durevole su un’intera generazione, e anche in Abe, che ha evocato i suoi ricordi d’infanzia dell’anno 1964, quando Tokyo ricevette la gestione dei giochi.

Un evento sportivo da solo non sarebbe stato sufficiente a risolvere i problemi del Giappone

Se non fosse stato per la pandemia, quell’emozione avrebbe potuto materializzarsi nuovamente. Le attuali Olimpiadi di Tokyo hanno avuto la loro dose di polemiche, dai costi fuori controllo di uno stadio al sessismo classista del capo (che oggi si è dimesso) del comitato organizzativo. Un evento sportivo da solo, inoltre, non sarebbe stato sufficiente a risolvere i problemi del Giappone. Ma i giochi andavano configurandosi come un’occasione d’orgoglio. Decine di migliaia di giovani giapponesi si erano messi a disposizione come volontari. Il Giappone prevedeva di accogliere quaranta milioni di stranieri nel 2020, l’anno originariamente previsto per i giochi olimpici. I turisti avrebbero trovato una metropoli impeccabilmente pulita, sicura e ben gestita. Akita Hiroyuki opinionista di Nikkei, un quotidiano giapponese, ritiene che le Olimpiadi sarebbero potute essere una “nave bianca” capace di spingere il paese a “svegliarsi e ad aprirsi” (gli statunitensi che costrinsero il Giappone ad aprirsi al mondo, nell’ottocento, arrivarono in navi che furono chiamate nere).

Invece i giochi, se si terranno, saranno senza spettatori, né stranieri né giapponesi, in una città in stato d’emergenza. Ito Yuko, una tra coloro che protestano fuori dello stadio di Komazawa, dice che c’è un abisso tra l’umore del 1964, quando si innamorò per la prima volta delle Olimpiadi, e l’atmosfera di oggi. Invece di trovarsi unito grazie alle Olimpiadi, il Giappone si è lacerato a causa loro. Recenti sondaggi mostrano che addirittura l’80 per cento dei giapponesi non voleva che si svolgessero quest’anno.

Questione dinteressi
La sensazione che i dirigenti nazionali stiano trascinando al disastro una popolazione riluttante ha portato a paragoni non con le passate Olimpiadi di Tokyo, ma con la guerra che le ha precedute. Perfino l’imperatore Naruhito, che non parla quasi mai di questioni politicamente sensibili, ha reso note le sue preoccupazioni riguardo alla conferma dei giochi.

L’opposizione alle Olimpiadi deriva solo in parte dalle paure per il covid-19. Il Giappone ha gestito la pandemia in modo soddisfacente, secondo gli standard globali, con quindicimila morti. Tokyo ha registrato otto decessi per covid-19 finora questo mese. Ma molti giapponesi sentono che questo successo sia dovuto alla gente comune che si è comportata responsabilmente e ha fatto sacrifici nella sua vita personale, mentre il governo si ostinava a portare avanti un’impresa rischiosa. “Non è solo una crisi sanitaria, ma anche una crisi democratica, dovuta al fatto che nessuno sia messo di fronte alle sue responsabilità”, dice Nakano Koichi della Sophia university.

Molti si lamentano che gli interessi degli sponsor, delle reti televisive e del Comitato olimpico internazionale (Cio) appaiano più importanti di quelli del popolo giapponese. E del fatto che i giochi siano andati avanti nonostante l’opinione pubblica mostri che questi non sono “per il popolo”, bensì per “le persone a cui arrivano i soldi”, come spiega Miyakawa Taku, un ingegnere informatico che si è unito alla protesta fuori dallo stadio Komazawa.

Le cose potrebbero andare in maniera catastrofica. Un’epidemia di covid-19 nel villaggio olimpico potrebbe impedire lo svolgimento degli eventi e lasciare, nei libri di storia, degli asterischi, segno dei premi non assegnati, accanto ad alcune competizioni. Un incauto giornalista o una delegazione ufficiale potrebbe introdursi all’interno e scatenare un’epidemia tra la popolazione giapponese. Atleti dei paesi in via di sviluppo potrebbero portare un ceppo più infettivo del virus a casa loro, facendo dei giochi un evento che alimenta un’enorme diffusione globale del virus. Un simile fiasco rafforzerebbe un senso di declino del Giappone e renderebbe la popolazione più diffidente nei confronti delle interazioni con il mondo esterno.

Il Giappone potrebbe anche riuscire a mantenere il virus per lo più sotto controllo e a far rispettare i programmi sportivi. Organizzare i giochi in circostanze così difficili potrebbe, in questo caso, servire da promemoria delle capacità del Giappone di superare le avversità. Comunque andranno le cose, l’eredità di queste Olimpiadi sarà contestata. “Se si trattasse di una fotografia, potremmo dire che la cornice è cadente”, dice Sakaue Yasuhiro, storico dello sport all’università Hitotsubashi di Tokyo. “La fotografia magari risulterà bella, ma sarà comunque inquadrata da una cornice marcia”.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è stato pubblicato dall’Economist.

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