Sotto diversi aspetti in Romania le elezioni europee del 2024 si annunciano come una replica dell’ultimo voto legislativo, quello del 2020. Tuttavia, ci sono alcune differenze che riguardano i partiti coinvolti, a cominciare da quelli che sfidano lo status quo. In assenza di un grande tema che possa catalizzare l’attenzione dei romeni, la campagna elettorale è plasmata dalla rabbia e dalla paura, ma anche da un pizzico di speranza. Per comprendere meglio la situazione, ricapitoliamo brevemente quello che è successo nel paese negli ultimi quattro anni.
Alle elezioni politiche del 2020 il risentimento nei confronti del governo guidato dai socialdemocratici (Psd) è stato decisivo, favorendo una crescita significativa dei partiti che avevano saputo approfittarne. I liberali dell’Usr (Unione salvate la Romania) hanno ottenuto il 15,5 per cento dei voti, mentre l’estrema destra di Alianța pentru unitatea românilor (Alleanza per l’unità dei romeni, Aur, che in romeno vuol dire oro) è schizzata dall’1 al 9 per cento nell’arco di pochi mesi.
Così, dopo sette anni di dominio pressoché totale, alla fine del primo anno di pandemia il Psd ha perso il potere. All’epoca molti hanno parlato di un trionfo dei riformisti e di un’occasione per ottenere finalmente quei cambiamenti di cui il paese aveva bisogno. Ma quello del 2020 era stato essenzialmente un voto di protesta.
Dopo un breve intermezzo di nove mesi al governo con il centrodestra del Pnl (Partito nazional-liberale) e i moderati dell’Udmr (Unione democratica magiara di Romania, il partito della minoranza ungherese) l’Usr è uscito dall’esecutivo. Alla fine del 2021 il presidente Klaus Iohannis aveva deciso di sfruttare le tensioni interne alla coalizione al potere per costringere il suo partito, il Pnl, a governare con gli avversari del Psd. Un’alleanza che contrastava palesemente con il risultato delle urne.
La mossa di Iohannis si è rivelata decisiva: l’Usr, l’unica formazione europeista che aveva promesso riforme concrete, è stata presentata come incapace di governare ed è stata relegata all’opposizione. A quel punto la scena era pronta per un spostamento del voto di protesta verso il nuovo partito antisistema: Aur, estremista e nazionalista. Da allora la forza guidata da George Simon è cresciuta costantemente, passando dal 9 per cento del 2020 al 20 per cento degli ultimi sondaggi. Oggi il partito occupa il secondo posto dietro l’alleanza Psd-Pnl, ed è seguito da Urs, che però è in caduta libera: la piccola coalizione di partiti di centrodestra di cui fa parte si attesta intorno al 13,5 per cento.
Il voto di protesta sta favorendo anche un’altra formazione, ancora più a destra di Aur e apertamente filorussa: Sos Romania. Se si votasse oggi otterrebbe il 6,4 per cento dei voti. Complessivamente, quindi, del 42 per cento dei romeni favorevoli a un cambiamento, due terzi si dichiarano sostenitori di partiti estremisti. Secondo un altro sondaggio di Inscop, più del 70 per cento della popolazione pensa che il paese stia andando nella direzione sbagliata, mentre il 60 per cento percepisce un peggioramento delle condizioni di vita rispetto a cinque anni fa.
Anche se tutti si concentrano sulla rabbia dei romeni nei confronti dell’establishment, il 47 per cento dell’elettorato continua a sostenere l’alleanza tra due partiti storici, il Psd e il Pnl. Questo ha permesso alle forze di governo di presentarsi come l’unica alternativa al caos e all’estremismo. Il Psd e il Pnl sperano di continuare a governare per i prossimi quattro anni e di raccogliere i frutti dei grandi investimenti infrastrutturali resi possibili dai fondi europei per la ripresa e la resilienza e da quelli per la coesione.
Nella campagna elettorale risalta l’assenza di un grande tema che possa calamitare l’attenzione degli elettori. D’altronde nessun partito sembra disposto ad affrontare i problemi reali e complessi che affliggono il paese, come i livelli sempre più bassi del sistema scolastico e di quello sanitario, il potere esercitato dai due partiti di governo sulle istituzioni statali o i deficit commerciali e di bilancio che spingono la Romania a indebitarsi per sostenere un apparato pubblico sempre più ingombrante. Questi temi sono del tutto assenti dal dibattito politico, monopolizzato da questioni “d’importazione”, che in alcuni casi sembrano chiaramente dettati dalla Russia: le politiche agricole imposte dall’Europa, la necessità di restare fuori dalla guerra in Ucraina e perfino l’idea di riacquistare la propria sovranità uscendo dalla Nato e rimodellando l’Unione europea a immagine e somiglianza dei sovranisti.
Nonostante il pessimismo che emerge dagli ultimi sondaggi, ci sono però anche buone notizie. Secondo i sondaggi, negli ultimi due anni il numero di romeni che percepiscono miglioramenti nella propria vita rispetto al 2018 è aumentato del 26 per cento, mentre il numero di chi ha la sensazione opposta si è ridotto del 12 per cento. I cittadini convinti che il paese sia sulla strada sbagliata si sono ridotti del 6 per cento. Un sorprendente 95 per cento degli intervistati manifesta inoltre un forte orgoglio per la propria nazionalità, contro l’83 per cento di dieci anni fa.
L’esito delle elezioni, oltre che dalla rabbia e dalla paura, potrebbe quindi essere determinato dalle politiche identitarie. Mentre la Romania conquistava lo status di economia sviluppata, infatti, la popolazione ha cominciato a manifestare alcune preoccupazioni di ordine identitario, in un’Europa che per lungo tempo ha dato l’impressione di trattare i romeni come cittadini di serie b. Ad approfittare della sfiducia nelle istituzioni europee e del desiderio di riprendersi parte della sovranità non sono più solo i partiti estremisti, ma anche le forze politiche tradizionali.
Al momento restano diversi interrogativi aperti. I partiti di governo riusciranno a capitalizzare al meglio i risultati ottenuti negli ultimi quattro anni? Le forze estremiste hanno già raggiunto l’apice del successo e sono destinate a perdere slancio? I partiti della piccola alleanza riformista sapranno ritagliarsi uno spazio tra il voto di protesta e quello dettato dalla paura, offrendo una speranza agli elettori, magari collegata alle riforme di cui il paese ha urgente bisogno? Una cosa è certa: rispetto a qualche anno fa, oggi la Romania è in una posizione migliore per intraprendere la via del cambiamento.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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