Facciamo un piccolo test. Vediamo se indovinate quale email ha più probabilità di avere una risposta:
- Ciao, pensavo a te poco fa. Ti va una pizza?
- Ciao, la settimana prossima mi piacerebbe molto vederti. Ti va una pizza?
- Ciao, sarebbe bello vederti per fare quattro chiacchiere. Ti va una pizza?
- Ciao! Vederti sarebbe davvero fantastico! Ti va una pizza? Muoio dalla voglia!
La risposta esatta è – rullo di tamburi – la seconda. Ha il tono ideale per un’email: né troppo positiva, né troppo negativa, ma neanche del tutto indifferente. Giusta. Questo è quanto risulta da un’analisi condotta da Boomerang, un’azienda che produce programmi che aiutano a gestire le email.
La società ha preso 5,3 milioni di messaggi, li ha resi anonimi e li ha rielaborati per capire quali caratteristiche hanno le email a cui rispondiamo velocemente.
Torniamo alle email della pizza. La prima era troppo neutra. La terza andava meglio, ma non era buona come la seconda. E la quarta? Non male, ma neanche la migliore: mostrarsi troppo entusiasti è quasi come essere indifferenti.
Boomerang ha scoperto che le email che ricevono più risposte sono quelle leggermente positive o leggermente negative. Va bene fare un paio di domande, ma se sono più di tre, cominciano a remarvi contro. “Fare i complimenti funziona, ma senza esagerare”, si legge in un post del blog sui risultati dell’indagine. “Consigliamo anche di non scrivere papiri ammorbanti”.
Quindi, se per esempio volete richiamare l’attenzione di un negoziante, Boomerang consiglia di non chiudere l’email con “Devi morire!”. Provate invece con qualcosa tipo: “Oggi ho avuto un’esperienza spiacevole nel suo negozio. Il commesso è stato molto scortese. La prego di provvedere”.
Be’, insomma, giocatevela bene. Ma senza esagerare. E ricordate: non serve scrivere troppo. La lunghezza ottimale di un’email è tra le 50 e le 125 parole.
Se stessimo parlando di letteratura, le sei parole con cui inizia Fahrenheit 451 di Ray Bradbury sono troppo poche (“Era una gioia appiccare il fuoco”), mentre le 93 di Racconto di due città di Charles Dickens un po’ troppe (“Era il tempo migliore e il tempo peggiore, la stagione della saggezza e la stagione della follia, l’epoca della fede e l’epoca dell’incredulità, il periodo della luce e il periodo delle tenebre, la primavera della speranza e l’inverno della disperazione. Avevamo tutto dinanzi a noi, non avevamo nulla dinanzi a noi; eravamo tutti diretti al cielo, eravamo tutti diretti a quell’altra parte – a farla breve, gli anni erano così simili ai nostri, che alcuni i quali li conoscevano profondamente sostenevano che, in bene o in male, se ne potesse parlare soltanto al superlativo”).
Ora che ci penso: ho superato da un pezzo le 450 parole. Abbastanza breve, per essere un articolo. Ma se fosse un’email, probabilmente sarebbe già finita nel cestino.
(Traduzione di Alessandro de Lachenal)
Questo articolo è stato pubblicato su The Atlantic.
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