È molto difficile scrivere della morte di una persona il cui unico scopo nella vita era provocare dolore agli altri e guadagnarci su. Le riflessioni del tipo “Era una brava persona” suonano sempre stupide, e nel caso di Maksim Martsinkevič, detto Tesak, lo sono doppiamente: è ovvio che non lo era, su questo non si discute. Soprattutto negli ultimi anni passati in galera, dove si è definitivamente trasformato in un meme del decennio scorso. Un uomo che agita un dildo davanti alla telecamera gridando “Bacia il cazzo!”: questo clown non fa più paura. Lo abbiamo superato, passiamo ad altro.
Anzi, aspettate: voglio provare a spaventarvi.
Quindici anni fa su internet vidi per la prima volta un video che riprendeva l’omicidio di una persona. Mostrava alcuni naziskin che picchiavano delle persone dai tratti asiatici su un treno. Poi forzavano la porta e buttavano giù dal mezzo in movimento un uomo. Alla fine il capo degli aggressori si rivolgeva alla videocamera e con un ghigno sardonico diceva qualcosa, ma adesso non ricordo più le parole esatte. Non ho dimenticato però le emozioni che ho provato dopo quello che ho visto: terrore, indignazione e disgusto. Sullo schermo avevo visto il male puro, e il male si chiamava Tesak.
Di video simili girati negli “studios” di Tesak ce n’erano molti. Chi è stato adolescente negli anni zero non può non ricordarli, credo. I primi copioni si somigliavano tutti: si vedono dei venditori ambulanti con delle cassette di frutta ed ecco che da dietro l’angolo sbuca di corsa un gruppetto di audaci ragazzi con la testa rasata e il bomber. Al suono di un allegro motivetto buttano all’aria le cassette e cominciano a malmenare i “non russi”. Non manca mai l’inquadratura del viso insanguinato e deformato dalla paura della vittima, che viene subito pestata da rozzi scarponi. Poi parte la sigla, in cui appare un ritratto un po’ frivolo di Hitler. Su internet questi video erano accompagnati da pubblicità e link non troppo invadenti che invitavano all’acquisto di alimenti per chi fa sport. La parola “donazione” non veniva ancora usata, ma non mancavano gli appelli a “sostenere l’associazione culturale”. È stato questo il primo famoso videoblog del nostro paese: sangue, denti rotti, violenza. Non era un Leni Riefenstahl del nostro tempo, ma aveva fatto colpo su molte persone.
Senza paura
Ora la polizia russa apre inchieste per un nonnulla: basta caricare su internet un video dove uno studente della scuola superiore di economia discute una tesi sulle proteste o che un fannullone qualsiasi vada a caccia di pokemon in chiesa e finisci indagato! Ma è bene ricordare che per anni le forze dell’ordine hanno ignorato l’esistenza del sito dove ogni settimana venivano pubblicati nuovi video di pestaggi veri e varie forme di umiliazione.
Non c’è voluto molto perché altri seguissero l’esempio di Tesak e cominciassero a mettere in rete video violenti. I nemici non erano più solo gli asiatici e i caucasici: Tesak e i suoi imitatori aggredivano anche giovani russi appartenenti ad altre subculture: punk, rapper, perfino gli snowboarder. La maggior parte delle vittime restava anonima. Ma nel 2007 a Iževsk un gruppo di neonazisti aggredì degli skater adolescenti, picchiando a morte il diciassettenne Stas Korepanov. I sopravvissuti raccontarono che gli aggressori avevano filmato tutto con una videocamera. Uno dei testimoni affermò che un investigatore gli aveva mostrato il video durante l’interrogatorio, probabilmente scaricato dal sito di Tesak. Ma l’inchiesta era andata avanti senza tener conto degli elementi nazisti del crimine.
Non vi fa ancora paura? Allora continuate a leggere.
Tesak si fece più prudente: non si esponeva più come protagonista di aggressioni vere, ma filmava scene preparate a tavolino, aggiungendo anche elementi umoristici. Si faceva intervistare, appariva negli show televisivi dove interpretava il ruolo del neonazista brutale ma carismatico. Gradualmente si capì che le idee di estrema destra per lui erano solo una facciata che usava per fare soldi. Con i veri nazisti era entrato in conflitto da tempo: i suoi ex alleati si erano ritrovati nell’illegalità, mentre Maksim Martsinkevič si era definitivamente trasformato nel personaggio mediatico noto come Tesak. Tutti sapevano che si era avvicinato a vari gruppi filogovernativi che non disdegnavano i suoi metodi sporchi né gli odiosi esecutori. I bersagli non erano più i “non russi”, ma i “liberali”: Tesak finì in carcere una prima volta per aver sabotato dei dibattiti a cui partecipava Aleksej Navalnyj, che stava diventando sempre più popolare.
È particolarmente difficile scrivere della morte di una persona il cui unico scopo era quello di provocare dolore agli altri e guadagnarci su
Mentre scontava la pena, i suoi seguaci continuavano ad agire, anche se per loro lui non era abbastanza radicale. Il video “Esecuzione di un daghestano e di un tagiko” (il titolo riflette veramente il contenuto, e non si tratta di una messinscena) ispirato ai suoi primi “lavori” sollevò molte polemiche. I suoi autori, veri o presunti che fossero, mandarono un messaggio ai mezzi d’informazione per ottenere la liberazione di Tesak. Si trattava del relativamente oscuro gruppo dei “people hater”, una specie di nazisti-nietzscheani, gente pronta a macchiarsi di crimini (come dare da bere vodka avvelenata ai senzatetto o tagliare le gomme delle ambulanze) solo per “vivere più intensamente”.
Non fa paura?
Tornato in libertà, Tesak capì presto che i tempi erano cambiati: il neonazismo esisteva ancora, ma era ormai diventato un tema marginale, su cui non si poteva più guadagnare. Allora creò il ben più rispettabile movimento Occupy pedophilia, un gruppo di combattenti contro i pedofili cui aderirono soprattutto adolescenti con idee di destra. La loro attività principale, che Tesak chiamava “safari”, era cercare presunti pedofili e spacciatori, fissare con loro un appuntamento e fare giustizia picchiandoli, umiliandoli e filmando le scene. Peccato che a volte potevano cascarci anche omosessuali innocenti, che pensavano semplicemente di recarsi a un appuntamento con una persona adulta. Ma per Tesak e i suoi accoliti non faceva differenza. Sono noti anche casi in cui militanti di Occupy aggredivano semplici passanti nei parchi e poi li ricattavano minacciando di presentarli in rete come pedofili.
L’idea romantica della lotta ai pedofili si è rivelata vincente: grazie a essa, nel 2010 Tesak divenne un personaggio popolare tra gli adolescenti. Purtroppo tale idea non faceva colpo solo sugli adolescenti: non troppo tempo fa su Facebook un uomo adulto e ragionevole mi ha detto di aver mandato dei soldi a Tesak “perché lui ha preso pedofili e spacciatori veri”. In quel periodo Tesak continuava a guadagnare grazie ai suoi ammiratori: vendeva biglietti per il suo “safari” umano, organizzava lezioni a pagamento, faceva raccolta fondi per “i giusti imprigionati” (in seguito fu incriminato per appropriazione indebita di parte di questi soldi).
Negli ultimi anni lo stato russo ha parlato della terribile minaccia rappresentata dall’Aue, un’organizzazione illegale che ha lo scopo di reclutare giovani nel mondo criminale. Non si sa se tale struttura esista davvero, ma ciò non toglie che gli utenti dei social network possano finire sotto processo per legami con l’Aue. Allo stesso tempo, per diversi anni, la polizia ha deliberatamente ignorato la reale esistenza dell’organizzazione il cui leader proponeva agli adolescenti di compiere crimini, guadagnando alle loro spalle.
Nel 2014 Tesak finì di nuovo dietro le sbarre, di nuovo per un reato relativamente insignificante: i suoi video e i commenti che li accompagnavano furono giudicati estremisti. Da allora Maksim Martsinkevič non è più uscito dal carcere. Nuove condanne si aggiungevano una dopo l’altra a causa del suo libro di memorie e per l’episodio dell’aggressione di un presunto spacciatore. Tuttavia, dopo l’abolizione del reato di estremismo, si pensava che Tesak sarebbe stato liberato nella primavera del 2021. È difficile immaginare che un uomo da lungo tempo detenuto decida di togliersi la vita poco prima di essere rimesso in libertà. Bisogna ricordare che secondo il suo avvocato la confessione di gravi crimini gli è stata estorta in prigione.
Ora rabbrividite un po’? Ma non è tutto.
La versione della tortura ha tutta l’aria di essere verosimile, e a questo punto non si può escludere che sia stato assassinato. Per questo motivo è particolarmente difficile scrivere della morte di una persona il cui unico scopo era quello di provocare dolore agli altri e guadagnarci su. La prigione russa con le sue caste, le sue torture e le sue umiliazioni è un orrendo anacronismo che deve essere eliminato. Nessuno, nessuna persona deve trovarsi in tali condizioni. Perciò, basta parlare di Maksim Martsinkevič.
Meglio notare un’interessante ironia della sorte. All’inizio degli anni zero Tesak odiava i caucasici, soprattutto i ceceni (nelle prime interviste raccontava che la sua ragazza era morta nell’esplosione di via Gurjanova a Mosca, secondo lui provocata da terroristi ceceni). Ma ora, nel 2020, è proprio questa regione a essere deliberatamente ignorata dalla legge.
Come nel caso di Tesak, da anni la polizia russa fa finta di non vedere i numerosi video contenenti aperte minacce a opera di eminenti figure della Repubblica Cecena, seguiti da “scuse” evidentemente frutto di coercizione.
Il risultato è che tutti i russi hanno potuto vedere un video barbaro in cui degli ignoti umiliano e torturano con una bottiglia un giovane in disaccordo con il presidente ceceno Ramzan Kadyrov. Di nuovo proviamo terrore, indignazione e disgusto, vediamo di nuovo sullo schermo il male puro. Questo interessa alla polizia? La domanda è retorica. Noi saremo anche cresciuti dai tempi di Tesak, ma il nostro sistema di polizia è sempre lo stesso.
Ecco, ora avete paura?
(Traduzione di Alessandra Bertuccelli)
Questo articolo è stato pubblicato su Kommersant.
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