È successo più di una volta che un presidente statunitense in carica andasse male nel primo dibattito televisivo contro il suo sfidante. Nel 2012 Barack Obama sbagliò completamente approccio e diede al repubblicano Mitt Romney la possibilità di rimettersi in corsa (Obama tornò sui suoi standard nel secondo dibattito e vinse facilmente le elezioni). Succede di solito perché il presidente, preso dagli impegni enormi che derivano dal suo incarico, non ha molto tempo ed energie mentali da dedicare al dibattito, al contrario dell’altro candidato.

Ma non era il caso di Joe Biden. In previsione del confronto con Donald Trump del 27 giugno, il presidente aveva passato un’intera settimana a prepararsi insieme ai suoi collaboratori. Sapeva che per lui la posta in gioco era molto più alta rispetto qualsiasi altro presidente del passato, perché nessuno si è mai presentato alla rielezione con un livello così basso di popolarità, e perché aveva bisogno di una performance solida per far svoltare la sua campagna elettorale (questo peraltro era uno dei motivi che avevano spinto il suo staff a chiedere un dibattito già a giugno, molto prima del solito). Non è andata bene per lui.

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La versione di Biden che si è presentata davanti alle telecamere della Cnn è molto simile a quella che i repubblicani e Donald Trump cercano di vendere al popolo americano da mesi: incerta, debole, fragile.

E ora i dubbi dei democratici sulla capacità del loro leader di gestire la campagna elettorale, per mesi sussurrati sottovoce, sono destinati a uscire allo scoperto. Ma prima vediamo brevemente cos’è successo stanotte.

Instabile

Ci sono stati vari momenti d’imbarazzo per il presidente. Come scrive il Washington Post, “Biden ha parlato in vari momenti con voce roca, e priva di vigore. Ha incespicato sulle parole e sulle argomentazioni”. Il momento peggiore, verso l’inizio, è stato quando ha cercato di dire una cosa sull’assistenza sanitaria ma non è riuscito a terminare il suo pensiero prima che finisse il tempo a disposizione. Trump ha capitalizzato questa difficoltà più tardi, quando il dibattito si è spostato sull’immigrazione.

Biden ha detto: “Continuerò a muovermi finché non otterremo il divieto totale di… l’iniziativa totale, in relazione a ciò che possiamo fare con più pattuglie di frontiera e più agenti per l’asilo”. Trump è intervenuto: “Non so davvero cosa abbia detto alla fine della frase. Non credo che nemmeno lui sappia cos’abbia detto”.

Gli unici momenti in cui Biden è sembrato in grado di poter far male a Trump sono arrivati quando il discorso si è spostato sull’assalto al congresso da parte dei sostenitori del candidato repubblicano, il 6 gennaio 2021, e sui problemi con la giustizia dell’ex presidente. Biden ha rinfacciato a Trump le sue affermazioni secondo cui i rivoltosi del 6 gennaio sono perseguitati dalla giustizia, un pensiero contestato dalla maggior parte degli statunitensi.

Ha sottolineato la condanne penale di Trump in un tribunale di New York – “L’unica persona sul palco che è stata condannata in questo momento è l’uomo che sto guardando” – e ha citato gli altri processi dell’ex presidente.

Trump si è limitato a ripetere che i procedimenti contro di lui sono frutto di un accanimento giudiziario, una posizione sicuramente condivisa dai suoi elettori più fedeli ma che convince poco gli elettori moderati e quelli che non si identificano con nessun partito, cioè le persone di cui sia Trump sia Biden hanno bisogno per vincere le elezioni. I sondaggi condotti dopo la condanna avevano mostrato un calo del candidato repubblicano tra gli elettori indipendenti.

Il solito Trump

Il candidato repubblicano, che è sembrato molto più a suo agio nell’articolare il suo discorso, ha confermato una volta di più la sua tendenza a fare affermazioni false o molto discutibili. La scelta dei moderatori di non intervenire per smentirlo o riportarlo ai fatti lo ha aiutato (ed è stata criticata da molti commentatori e analisti).

Trump si è inventato di essere stato lui, e non Biden, a ridurre i costi dell’insulina; ha detto che gli stati governati dai democratici uccidono i bambini dopo la nascita; ha accusato Biden di voler quadruplicare le tasse; che il presidente è pagato dalla Cina. L’ex presidente ha anche confermato di avere una concezione autoritaria della democrazia e delle istituzioni.

Gli è stato chiesto due volte se si sarebbe impegnato ad accettare i risultati delle elezioni, ma ha evitato la domanda. Incalzato una terza volta, ha detto che avrebbe accettato il risultato, ma solo “se sarà un’elezione giusta, legale e corretta”. Da mesi Trump sostiene, senza prove, che i democratici stanno preparando brogli in vista del voto.

Equilibrismi

Sulla questione per lui più delicata, l’aborto, Trump ha continuato a muoversi su una linea sottile. Sapendo che le posizioni radicali di una grossa fetta della base repubblicana possono costargli molti voti, durante il dibattito si è detto d’accordo con la recente decisione della corte suprema di consentire la distribuzione del mifepristone, uno dei farmaci usati per l’aborto farmacologico.

In questo modo il candidato cerca di rassicurare gli elettori repubblicani più moderati e quelli indipendenti, spaventati dalla svolta reazionaria degli ultimi due anni. Se questa mossa dovesse funzionare, Trump riuscirebbe a disinnescare una delle principali linee di attacco dei democratici, che due anni fa sono andati meglio del previsto alle elezioni di metà mandato, proprio insistendo su questo tema.

Insomma, la squadra di Biden sperava in un dibattito in cui venissero fuori i limiti di Trump, per poi impostare quel che resta della campagna elettorale come un referendum su Trump. E invece è successo e succederà il contrario: da oggi si parlerà soprattutto delle facoltà mentali di Biden – che nel frattempo, a differenza del suo sfidante, deve anche mandare avanti il paese – e i limiti di Trump sembreranno meno preoccupanti.

L’esito dell’elezione sarà determinato soprattutto da come decideranno di votare le persone con opinioni meno solide e infastidite dalla radicalizzazione politica. In questo gruppo c’è tanta gente che non segue con costanza la politica o non la segue per nulla, ma che alla fine andrà a votare. È possibile che il dibattito, visto da decine di milioni di persone, sia stato il loro primo approccio alla campagna elettorale. Non una buona notizia per Biden.

Per sapere se il dibattito ha spostato in modo significativo le intenzioni di voto bisognerà aspettare i sondaggi dei prossimi giorni. Quelli condotti prima del confronto, e dopo la condanna di Trump, indicavano una leggera ripresa di Biden, anche se era dato in svantaggio, di poco, nella maggior parte degli stati in bilico (come Wisconsin, Pennsylvania e Michigan). Il secondo e ultimo dibattito si terrà il 10 settembre, circa due mesi prima del voto. Nel frattempo si parlerà delle difficoltà del presidente più che di Trump. Il panico dei funzionari e dei politici democratici comunque è cominciato ancora prima che finisse il dibattito.

Una domanda che sentiremo di continuo nei prossimi giorni: i democratici cambieranno candidato prima delle elezioni? Nessun presidente in carica ha mai abbandonato la corsa così tardi nel ciclo della campagna elettorale, ma teoricamente è possibile. Si sta cominciando a parlare di open convention, cioè di sostituire Biden con un candidato che sia scelto dai delegati del partito durante la convention estiva del partito. Ma per arrivare a quel punto serve che il presidente si faccia da parte, una possibilità che finora ha rifiutato di prendere in considerazione.

Biden è conosciuto come un uomo orgoglioso e testardo, inoltre insiste nel dire di essere il più adatto a sconfiggere Trump e si dice che non ascolta nessuno a parte sua moglie, Jill Biden, che ha fortemente sostenuto la sua seconda candidatura. Ma se Biden accettasse di farsi da parte, comincerebbe un processo pieno di incognite per la scelta del suo sostituto. Partirebbero grandi e complicate trattative dentro il partito per convincere i delegati a sostenere questo o quel candidato. Ci sarebbero sicuramente polemiche interne davanti a tutta l’opinione pubblica a pochi mesi dalle elezioni, con i rischi che si possono immaginare a livello di consensi.

Tra i nomi di cui si parla ci sono la vicepresidente Kamala Harris, Gavin Newsom, governatore della California, Gretchen Whitmer, governatrice del Michigan. Sono candidati giovani, forse in grado di rivitalizzare un elettorato che sembra essersi allontanato dai democratici. Ma ognuno con delle debolezze, il basso indice di popolarità nel caso di Harris, poca riconoscibilità a livello nazionale nel caso degli altri. Ovviamente nel caso di una convention di quel tipo Biden avrebbe voce in capitolo, visto che i delegati sono stati scelti nelle primarie che lui ha stravinto.

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