Prima delle elezioni presidenziali faccio sempre un giro sulla stampa internazionale per capire come si parla della politica americana, della campagna elettorale e dei possibili esiti del voto. È utile, soprattutto in un periodo in cui gli Stati Uniti e i loro giornali sono molto ripiegati su se stessi, farsi un’idea di come il paese sia percepito dal resto del mondo in una fase politica così delicata. Ho raccolto qualche testimonianza con l’aiuto di Courrier International e The Dial.
Il sito spagnolo Infolibre si concentra sulle spaccature nell’Unione europea a proposito delle elezioni statunitensi e fa notare che le posizioni nei confronti di Trump sono cambiate molto rispetto alle elezioni precedenti: “La maggior parte degli europei preferirebbe una vittoria di Kamala Harris, che garantirebbe una continuità politica, ma Trump ha sempre più amici nell’Unione europea. È una situazione molto diversa da quella del 2016, quando l’ungherese Viktor Orbán era l’unico leader europeo a mostrare simpatia per Trump. Otto anni dopo, quasi una dozzina di governi o partner di coalizione all’interno dei governi europei vorrebbero Trump alla Casa Bianca. Un’ulteriore dimostrazione dell’ascesa dell’estrema destra in tutto il continente. A fare compagnia a Orbán ora ci sono lo slovacco Robert Fico, un politico populista che preferisce la Russia di Vladimir Putin all’Ucraina di Volodymyr Zelenskyj, e che festeggerebbe una sconfitta di Harris. Lo stesso vale per l’olandese Geert Wilders, ammiratore di Donald Trump e uomo di punta dell’estrema destra nel governo olandese. E il miliardario ceco Andrej Babiš, che si dichiara liberale ma in realtà è sulle posizioni di Fico e Orbán”.
Poi c’è l’Italia di Giorgia Meloni, per molti versi un’incognita. “Era impensabile che la terza potenza europea, che ospita basi Nato e una presenza militare statunitense, guardasse verso Mosca. Ma le cose potrebbero cambiare in caso di vittoria di Trump. Da che parte si schiererebbe Meloni? Da quella di Trump o di un’Europa che cercherebbe di tenere testa al presidente statunitense, o almeno di difendere i propri interessi e le proprie priorità? Quale strada prenderebbe la Francia se Marine Le Pen dovesse vincere le elezioni nel 2027? La Spagna continuerebbe ad aderire al progetto europeo se l’eventuale caduta di Pedro Sánchez dovesse portare al potere il leader conservatore Alberto Núñez Feijóo con il sostegno dell’estrema destra trumpiana di Vox?”.
E ancora: “Orbán, l’amico di Mosca che vuole essere l’amico degli Stati Uniti di Trump, sta bloccando tutte le decisioni dell’Europa che toccano questioni che potrebbero essere condizionate da un cambio di governo negli Stati Uniti, soprattutto quelle che riguardano l’Ucraina. I leader europei sono sempre più irritati dalle manovre dell’ungherese, per esempio dal suo ostruzionismo allo stanziamento di 6,6 miliardi di euro che consentirebbe agli stati membri di rimborsare gli aiuti militari che forniscono all’Ucraina e, soprattutto, il suo rifiuto di rinnovare le sanzioni contro la Russia per un periodo di trentasei mesi anziché sei, condizione imposta dagli Stati Uniti per partecipare al finanziamento del prestito di cinquanta miliardi di euro all’Ucraina. Un aiuto essenziale per evitare che il paese sprofondi nella bancarotta”.
I commentatori ucraini sono comprensibilmente i più preoccupati per la vittoria di Trump, ma con delle sfumature.
Jurij Romanjuk, sul sito del canale 24, scrive: “In otto anni di attività politica, Trump non ha detto una parola contro Putin, anzi ha mostrato di avere una certa sudditanza nei suoi confronti. Trump potrebbe cancellare tutti gli aiuti militari statunitensi e costringerci ad accettare ‘colloqui di pace’ che non andrebbero a nostro vantaggio. L’Ucraina si ritroverebbe schiacciata tra il trumpismo e il putinismo”.
Sullo stesso sito, Taras Zahorodnij sostiene che le posizioni di Trump a favore della Russia potrebbero essere limitate da quelle dei repubblicani, che “sono in gran parte più favorevoli dei democratici agli aiuti all’Ucraina”.
Il diplomatico Pavlo Klimkin scrive che anche con una vittoria di Kamala Harris il futuro dell’Ucraina sarebbe pieno di incognite: “L’uscita di scena di Biden segna un cambio di epoca. Biden era un uomo della guerra fredda che vedeva l’Ucraina come una risorsa americana in Europa. Non sarebbe lo stesso per Harris, secondo cui le priorità degli Stati Uniti sono in Asia”. Klimkin conclude: “Indipendentemente da chi vinca le elezioni, Washington potrebbe volere un ritorno alla normalità delle comunicazioni con la Russia, anche se questo non significa una vittoria dell’Ucraina. Possiamo aspettarci discussioni difficili sia con Trump sia con Harris. Dopo queste elezioni, entreremo in una nuova era della politica statunitense e gli ucraini dovranno trovare il loro posto”.
I commenti del mondo arabo
Nei commenti dal mondo arabo emergono soprattutto una generale ostilità verso gli Stati Uniti per il loro ruolo nella regione, e opinioni contrastanti su Harris e Trump. L’Orient-Le Jour ha pubblicato un interessante articolo che dà voce ai cittadini di vari paesi: “Hana, una donna di 33 anni di Sanaa, la capitale dello Yemen, esprime un profondo risentimento nei confronti di Donald Trump, che considera ‘non sano di mente’, ‘tirannico’ e ‘irrispettoso nei confronti delle donne’. A pochi giorni dalle elezioni presidenziali americane Hana, che lavora nel commercio internazionale, ha una leggera preferenza per la candidata democratica, di cui però non ricorda il nome (‘quella che ha preso il posto di Biden’). Ma è una questione di personalità, aggiunge, ‘perché in fondo qualsiasi presidente avrà lo stesso approccio al Medio Oriente’, in un momento in cui la regione teme di precipitare in una guerra totale”.
Hana, laureata in scienze politiche, condivide con i suoi connazionali l’ostilità verso gli Stati Uniti. “‘Noi odiamo davvero tanto l’America’. Sono passati dieci anni da quando gli huthi, sostenuti dall’Iran, hanno preso il controllo della sua città e ora governano quasi tutto lo Yemen occidentale. La giovane donna dice di non sostenere il loro regime, ma vuole che l’Iran rimanga una potenza forte nella regione. Altrimenti ‘Israele e Washington saranno aggressivi nei nostri confronti una volta terminato il loro lavoro in Libano e Palestina, e le persone innocenti ne pagheranno il prezzo’”.
Arash, un iraniano di 28 anni, pensa che il suo paese sarà preso di mira dagli Stati Uniti a prescindere da chi sarà il nuovo presidente. “Trump considera l’Iran ‘il principale sponsor del terrorismo’, mentre Harris ritiene che la Repubblica islamica sia il ‘più grande avversario’ degli Stati Uniti. Tra i due Arash sceglierebbe comunque Trump. ‘Ci prende di mira direttamente. Ma preferisco avere a che fare con qualcuno da cui so cosa aspettarmi, anche se è un razzista e un assassino, piuttosto che con i democratici che arrivano con fiori, dolci e regali, ma hanno le pistole dietro la schiena’”.
Il suo amico Rahim la pensa diversamente. “Preferirebbe che vincesse Harris, soprattutto per una serie di valutazioni sulla situazione economica dell’Iran. ‘Quando Trump era presidente, tutto è cambiato. Il prezzo della vita è aumentato di sette o otto volte’. Questo perché Trump ha ritirato gli Stati Uniti dall’accordo sul programma nucleare iraniano e ha ripristinato molte sanzioni contro Teheran, creando una situazione economica devastante per gli iraniani. ‘Se Trump sarà eletto, per l’Iran sarà molto difficile vendere petrolio e i problemi economici peggioreranno’, prevede Rahim, secondo cui il candidato repubblicano ‘darà ancora più sostegno alle politiche aggressive del governo israeliano’”. Issam, un siriano di Aleppo, “è convinto che un grande attacco israeliano all’Iran sarebbe molto più probabile con un’amministrazione Trump”.
I più interessati ad avere un buon rapporto con gli Stati Uniti nel mondo arabo sono i sauditi. “Khaled, un uomo di Riyadh, dice che il regno saudita ha bisogno del sostegno americano: ‘L’Arabia Saudita e gli stati del Golfo da un lato, e gli Stati Uniti dall’altro, hanno bisogno l’uno dell’altro su questioni molto spinose che non si limitano agli aspetti economici o militari, ma si estendono a temi politici, religiosi e sociali, in particolare la lotta contro le milizie che minacciano la sicurezza nella regione’. In questo contesto Trump, che vanta buoni rapporti personali con il principe ereditario, dà più garanzia di Harris, che ha votato per bloccare la vendita di armi all’Arabia Saudita dopo l’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi nel consolato saudita di Istanbul”.
Dalla Cina
Su The Dial Lavender Au, scrittrice britannica che vive in Cina, ha raccolto testimonianze interessanti: “‘Se non me lo avessi chiesto, non avrei saputo che c’erano le elezioni negli Stati Uniti’, mi ha detto un’impiegata. Nessuno intorno a lei parlava delle elezioni statunitensi. Su Douyin, la versione cinese di TikTok, i commentatori politici analizzano i possibili risultati e gli atteggiamenti americani nei confronti della Cina, ma il video di un utente che apre la confezione di un nuovo modello Huawei fa più visualizzazioni dell’attentato contro Trump. Le elezioni americane sono un ‘pettegolezzo da tavola’, mi ha detto un imprenditore che frequenta proprietari di fabbriche e investitori. La gente ‘si concentra soprattutto sulle cose divertenti’. Qualunque sia il risultato elettorale, ‘l’impatto sulla Cina sarà lo stesso’, mi ha detto un ex soldato. Ha ammesso che Trump sarebbe più imprevedibile. ‘A meno che la Cina non cambi la sua politica estera, le relazioni tra i due paesi peggioreranno’”.
Un designer che ha studiato negli Stati Uniti dice che il risultato avrà un impatto sui mercati. “Se vincesse Trump e le relazioni tra i due paesi peggiorassero, per i marchi cinesi che vogliono entrare nel mercato statunitense sarebbe ancora più difficile. Le cose rimarrebbero invariate se vincesse Kamala Harris. Sta seguendo le elezioni per motivi personali. Un popolare conduttore di podcast mi ha detto che la corsa presidenziale statunitense lo ha convinto del fatto che il sistema politico cinese è migliore. La politica bipartitica, a suo avviso, rende il governo meno efficiente e divide il paese. ‘Entrambi’, ha detto di Trump e Harris, ‘tratteranno la Cina come un nemico. Hanno questo in comune’”.
Tra i più preoccupati per una vittoria di Trump ci sono i messicani. Secondo un sondaggio recente di Question Mark citato dal quotidiano El Heraldo, il 61 per cento dei messicani preferisce Kamala Harris. Le questioni più importanti sono l’immigrazione, il traffico di droga e gli accordi commerciali. I due paesi condividono una frontiera lunga più di 3.000 chilometri, attraversata ogni anno da centinaia di migliaia di immigrati irregolari provenienti dal Sudamerica e dall’America Centrale. Su questo tema i due candidati hanno posizioni diverse. Harris ha dichiarato di voler affrontare le cause profonde di questi movimenti migratori – povertà e violenza – attraverso una strategia di investimenti regionali, rafforzando allo stesso tempo la sicurezza del confine tra Stati Uniti e Messico, mentre l’approccio di Trump sarebbe più aggressivo. L’ex presidente ha detto chiaramente che il Messico deve fermare i migranti prima che raggiungano il confine, o dovrà affrontare gravi conseguenze.
Per quanto riguarda il traffico di droga, il problema principale riguarda il fentanyl, un oppioide sintetico che causa quasi 70mila morti per overdose ogni anno negli Stati Uniti. Secondo El Universal, Harris sarebbe favorevole a una strategia congiunta con il Messico per combattere i cartelli, creando al contempo programmi per ridurre la domanda sul suo lato del confine. Mentre Trump avrebbe un approccio più conflittuale. Il candidato repubblicano ha recentemente dichiarato che “è necessario condurre un’operazione militare” in Messico contro i cartelli, sottolinea El Financiero.
I dubbi su Harris riguardano il commercio tra i due paesi. La candidata ha apertamente dichiarato di voler rinegoziare l’accordo di libero scambio nordamericano T-Mec, firmato da Messico, Stati Uniti e Canada, sostenendo che è troppo favorevole al Messico e non fornisce sufficiente protezione ai lavoratori statunitensi.
Questo testo è tratto dalla newsletter Americana.
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