Il 9 dicembre Francia, Germania, Norvegia, Danimarca, Paesi Bassi, Belgio, Svezia, Grecia e Italia hanno annunciato che sospenderanno l’esame delle domande d’asilo dei cittadini siriani. A fine giornata lo hanno comunicato anche Regno Unito e Svizzera. L’Austria si è spinta addirittura a dire che sta preparando un “programma di rimpatrio ed espulsione” per i siriani che avevano già ottenuto lo status di rifugiati.

Secondo l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), nel primo semestre del 2024 c’erano nell’Unione europea circa un milione e duecentomila persone rifugiate di origine siriana e quasi 124mila richiedenti asilo. In Italia ci sono 3.500 rifugiati e rifugiate siriane e poco più di 250 richiedenti asilo. La misura che sarà adottata dal governo riguarda quest’ultimo gruppo di persone, che tuttavia non ne ha ancora ricevuto direttamente notifica.

Filippo Ungaro, portavoce dell’Unhcr in Italia, in un’intervista con Internazionale chiarisce che “alcuni stati hanno sospeso il processo decisionale sulle domande di protezione internazionale presentate dai cittadini siriani, fino a quando la situazione nel paese non si sarà stabilizzata e non saranno disponibili informazioni affidabili sulla sicurezza e sulla situazione dei diritti umani per valutare i bisogni di protezione internazionale dei singoli richiedenti”. Ma per l’Unhcr, alla luce della situazione incerta in Siria “rimane fondamentale che le persone possano comunque fare domanda di asilo e siano in grado di presentarla. Allo stesso modo i richiedenti asilo siriani che sono in attesa di una ripresa del processo decisionale sulle loro domande devono poter continuare a godere degli stessi diritti di tutti gli altri richiedenti, anche in termini di condizioni di accoglienza”.

Secondo l’Unhcr per il momento la Siria non può essere considerata un paese sicuro e non si possono fare pressioni sui rifugiati in Europa perché tornino in un paese che si trova in una grave situazione umanitaria. “Con le infrastrutture distrutte e oltre il 90 per cento della popolazione che fa affidamento sugli aiuti umanitari, l’avvicinarsi dell’inverno rende necessaria un’assistenza urgente che comprenda riparo, cibo, acqua e fonti di calore”, aveva dichiarato in un comunicato Filippo Grandi, l’Alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati, subito dopo la caduta del dittatore siriano Bashar al Assad.

Ungaro ribadisce: “Data la rapida evoluzione delle circostanze in Siria e l’alto livello di incertezza per gli sviluppi nel futuro a breve e medio termine, l’Unhcr non è attualmente in grado di fornire indicazioni dettagliate sui fattori di rischio per i richiedenti asilo siriani che possono determinare esigenze di protezione internazionale. Oggi più del 90 per cento dei siriani all’interno del paese ha bisogno di assistenza umanitaria”.

Ma per ora l’attenzione è sul ritorno in Siria di migliaia di rifugiati che si erano trasferiti nei paesi confinanti, come Turchia e Libano, e che stanno tornando indietro in maniera volontaria. “Insieme ai nostri partner siamo stati presenti sul campo in Siria fornendo assistenza salvavita ovunque la situazione lo consentisse, in tutti i quasi quattordici anni di conflitto e crisi, che hanno costretto più di 13 milioni di siriani a lasciare le loro case. Durante il periodo dei recenti e intensi combattimenti avevamo sospeso la maggior parte delle attività, ma, fortunatamente, in quest’ultima settimana siamo stati in grado di riprendere molte operazioni umanitarie nelle aree che ora sono più sicure, attraverso i nostri partner locali. Per esempio siamo già riusciti a riattivare oltre il 75 per cento dei 114 centri comunitari che sosteniamo in tutta la Siria e che forniscono servizi ai siriani più vulnerabili e agli sfollati interni, ma anche a coloro che stanno rientrando”, spiega Ungaro.

“Ora molti siriani sono in attesa di capire cosa succederà. Migliaia di rifugiati che vivono nei paesi limitrofi hanno cominciato a rientrare dal Libano, principalmente attraverso il varco di confine ufficiale di Masnaa. Altre persone stanno rientrando dalla Turchia nel nordovest della Siria. Ma il movimento è comunque bidirezionale. In migliaia hanno lasciato la Siria e sono entrate in Libano. Una delle sfide principali è che non ci sono ancora autorità di immigrazione sul lato siriano, il che crea, ovviamente, molte sfide e difficoltà”, conclude Ungaro. In un comunicato pubblicato il 17 dicembre, l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati scrive: “L’Unhcr ha pubblicato una posizione aggiornata sui rimpatri in Siria, che sottolinea il principio di non respingimento (o nessun rimpatrio forzato) e il diritto dei siriani di accedere all’asilo. Mentre i rischi di protezione legati alla persecuzione da parte del precedente governo sono diminuiti, possono persistere o emergere altri rischi per gruppi particolarmente vulnerabili”.

Nel comunicato l’Unhcr chiede agli stati di aspettare a prendere decisioni sul tema delle richieste di asilo: “Data la perdurante incertezza in Siria, chiediamo agli stati di essere pazienti e di evitare di fare valutazioni affrettate o prendere decisioni drastiche finché non ci sarà maggiore chiarezza. È importante mantenere la protezione per coloro che hanno già trovato rifugio nei paesi ospitanti e che non siano costretti a tornare in Siria. Qualsiasi ritorno di rifugiati deve essere volontario, sicuro e dignitoso. Non dobbiamo dimenticare che gli ultimi quasi quattordici anni hanno creato una catastrofe umanitaria a molti livelli in Siria, compresa la distruzione di ampie zone del paese, di case e infrastrutture”.

Per Gianfranco Schiavone, presidente dell’Istituto italiano di solidarietà (Ics) di Trieste ed esperto di diritto della migrazione dell’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi), bisogna chiarire che i ritorni che stanno avvenendo in questi giorni in Siria dal Libano e dalla Turchia sono volontari e non hanno alcun impatto diretto sulla situazione dei siriani nell’Unione europea: “In Europa abbiamo delle normative specifiche per la protezione internazionale che sono garantiste. Dobbiamo anche valutare le condizioni materiali dei siriani in Libano o in Turchia rispetto a quelle in Europa. I siriani in Libano vivono in una condizione di precarietà e in alcuni casi sono privi di una protezione giuridica. Alcune persone non hanno neppure un titolo di soggiorno in certi paesi dell’area. Questa situazione non può essere paragonata a quella di chi vive da anni nell’Unione europea e che valuterà quali scelte fare in futuro”.

Per Schiavone la sospensione della valutazione delle domande di asilo in Italia non corrisponde alla perdita del diritto all’accoglienza: “Le persone rimangono richiedenti asilo e hanno diritto ai servizi di accoglienza e a quelli connessi come l’assistenza sanitaria e il diritto al lavoro. Semplicemente viene rimandato il momento dell’esame della domanda, cioè l’audizione presso la commissione territoriale, quindi va assolutamente chiarito che non è una misura a detrimento dei diritti dei richiedenti asilo”. Per Schiavone è tuttavia molto grave che i richiedenti asilo toccati da questa decisione non abbiano ancora ricevuto alcuna notifica.

Inoltre, se le condizioni di sicurezza in Siria dovessero cambiare, è possibile che alcuni paesi europei revochino lo status di rifugiato a chi lo ha già ottenuto, ma secondo Schiavone questo è un processo molto lungo, che comporterebbe diversi passaggi per ora da escludere: “Il diritto europeo, in particolar modo la direttiva sulle qualifiche, prevede la possibilità della revoca della protezione internazionale in caso di esigenze di protezione che siano cessate, ma al momento non è possibile che si adotti un provvedimento simile per i siriani, date la condizioni di assoluta incertezza in cui il paese si trova. In ogni caso si tratterebbe di misure individuali. In Italia dovrebbe essere la commissione nazionale di Roma a prevedere delle procedure di revoca su ogni singolo caso con una nuova audizione dell’interessato. Si tratta di un procedimento giuridico, che prevede anche la possibilità di fare ricorso. Francamente al momento non vedo come questo possa avvenire, a pochi giorni dalla caduta di Assad. Mi pare che si tratti di una violenta politica di annunci da parte dei politici, rivolta all’elettorato estremista ma non basata su delle possibilità concrete”.

Questo articolo è tratto dalla newsletter Frontiere.

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