Sono state settimane di forti tensioni in Iran, dove una mobilitazione contro l’aumento dei prezzi dei generi alimentari si è diffusa in almeno venti città, diversi sindacati hanno proclamato scioperi per ottenere salari migliori e il pagamento di quelli arretrati e la repressione delle autorità ha colpito giornalisti, attivisti, professionisti del settore cinematografico e persone con la doppia nazionalità.

Le proteste sono cominciate all’inizio di maggio, dopo che il governo ha tagliato i sussidi per alcuni beni di prima necessità, come la farina e il grano, una misura annunciata il mese prima e giustificata dalla “crisi mondiale” provocata dall’invasione russa dell’Ucraina. La decisione ha causato un’impennata dei prezzi di alcuni alimenti essenziali, come riso, pasta, pane, olio, carne e uova. In almeno sette province del paese sono state organizzate manifestazioni che presto hanno assunto una connotazione politica, con critiche rivolte alle autorità religiose, accusate di essere insensibili alle difficoltà della popolazione e di accaparrarsi tutte le ricchezze del paese. Alla mobilitazione si sono aggiunte diverse corporazioni, come quella degli insegnanti e degli autisti di autobus, che già da mesi reclamano stipendi più alti. Secondo il Center for human rights in Iran, che ha sede a New York, almeno cinque persone sono morte negli scontri con le forze di sicurezza e decine sono state arrestate.

Tra il 26 e il 28 maggio centinaia di persone sono scese in strada anche ad Abadan, una città del sudovest dell’Iran dove il 23 maggio il Metropol, un edificio incompiuto di dieci piani, è crollato uccidendo 31 persone. Almeno dieci persone sono state arrestate per le loro responsabilità nell’incidente, tra cui il capo dell’impresa edile, l’attuale sindaco e due suoi predecessori. I manifestanti se la sono presa con l’incompetenza delle autorità e il Metropol “è diventato il simbolo della corruzione per gli iraniani, dato che è risultato chiaro che ci sono state violazioni delle norme”, commenta Iran International. Secondo le ricostruzioni l’edificio poteva contenere sei piani, ma altri quattro erano stati aggiunti durante i lavori.

Arresti e repressione
Per ora le autorità sembrano aver sedato la protesta e aver recapitato alla popolazione il messaggio di non superare le linee rosse, con il ricorso alla solita combinazione di intimidazioni, uso della forza e blocco di internet. A fare le spese della repressione è stata in particolare l’industria cinematografica iraniana. Il 10 maggio la polizia ha fatto irruzione nelle case di dieci registi e ha arrestato due di loro, Firouzeh Khosrovani e Mina Keshavarz, che in seguito sono state rilasciate su cauzione, ma non potranno uscire dal paese per sei mesi. Secondo il Centro per i diritti umani in Iran è stata arrestata anche Reihane Taravati, fotografa di celebrità e set cinematografici, proprio alla vigilia del festival di Cannes, dove il regista iraniano Asghar Farhadi era parte della giuria. In un articolo sul New York Times, Emma Bubola spiega che “il governo iraniano ha una relazione tesa con l’acclamata industria cinematografica del paese, prendendosi il merito per i suoi successi all’estero ma cercando di controllare il suo messaggio e il suo raggio d’azione”.

Proprio l’Iran è stato uno dei protagonisti del festival di Cannes. Zar Amir Ebrahimi ha infatti vinto il premio come miglior attrice per il film Holy spider, in cui interpreta una giornalista che cerca di risolvere il caso di una serie di omicidi di prostitute nella città santa iraniana di Mashhad. Il film, diretto dal regista danese iraniano Ali Abbasi, è ispirato alla storia vera di un uomo della classe operaia che all’inizio degli anni duemila uccise diverse donne e divenne noto come “spider killer”. Girato in Giordania perché non è stato possibile farlo in Iran e vietato nel paese, il film suggerisce che le autorità non hanno fatto abbastanza per prendere l’assassino. Ebrahimi, 41 anni, è diventata famosa in Iran all’inizio degli anni duemila per il suo ruolo nella soap opera Nargess. Ma nel 2006 è stata al centro di una campagna denigratoria, quando è trapelato online un video a sfondo sessuale di cui, si sosteneva, era protagonista. Poco dopo si è trasferita in Francia. Nel suo discorso alla premiazione, in persiano, Ebrahimi ha parlato del suo paese: “Anche se sono molto felice in questo momento, parte di me è triste per gli iraniani che devono affrontare molti problemi quotidianamente. Sono qui, ma il mio cuore è con le donne e gli uomini dell’Iran. Il mio cuore è con Abadan”.

A metà maggio sono anche state arrestate due persone di nazionalità francese, accusate di aver “organizzato una protesta” con l’obiettivo di creare “instabilità” in Iran. Come ha commentato Golnaz Esfandiari su Radio Farda, la versione iraniana di Radio Free Europe/Radio Liberty, Teheran ha cercato di “legare i cittadini francesi alle proteste degli insegnanti iraniani”, dato che i due sono stati identificati come la responsabile di un sindacato degli insegnanti e del suo compagno. Si tratta di un “tentativo di screditare le manifestazioni e aumentare la pressione sul sindacato degli insegnanti per fermare le proteste”. Il loro arresto, inoltre, potrebbe essere un modo per spingere i funzionari europei ad aumentare gli sforzi per concludere un nuovo accordo sul nucleare, i cui negoziati a Vienna faticano ad arrivare a una soluzione.

La diplomazia degli ostaggi
Teheran è stata ripetutamente accusata di detenere stranieri e persone con la doppia nazionalità per estorcere concessioni dall’occidente, in particolare sul nucleare o sullo scambio di prigionieri. Per questo diversi esperti hanno parlato di “diplomazia degli ostaggi”, una strategia messa in atto fin dalla creazione della Repubblica islamica nel 1979, che ha comportato l’arresto di decine di persone negli anni. Il paese non riconosce la doppia nazionalità e questo gli consente di impedire agli arrestati di beneficiare dell’aiuto consolare.

Negli ultimi anni alcuni di questi detenuti sono stati usati come pedine di scambio. L’ultimo caso in ordine di tempo è la liberazione a marzo di Nazanin Zaghari-Ratcliffe e Anoosheh Ashoori, due persone con la doppia cittadinanza britannica e iraniana detenute da anni in Iran, in cambio del rimborso di un debito quarantennale che Londra doveva a Teheran. Prima c’erano stati diversi scambi di prigionieri, come il giornalista del Washington Post, l’irano-statunitense Jason Rezaian, scambiato nel 2016 con sette iraniani detenuti negli Stati Uniti o lo studente statunitense Xiyue Wang liberato nel dicembre 2019 in cambio dello scienziato Massoud Soleimani.

Sotto questo ricatto potrebbe trovarsi Ahmadreza Djalali, cittadino iraniano e svedese, condannato a morte nel 2017 con accuse di spionaggio giudicate infondate da Stoccolma. Le autorità iraniane hanno ribadito che la condanna sarà eseguita e avevano indicato la fine di maggio come una data possibile. Secondo Amnesty international, Djalali è “tenuto in ostaggio” per “costringere terze parti a scambiarlo con ex funzionari iraniani condannati o sotto processo all’estero e per impedire future azioni penali contro funzionari iraniani”. Le terze parti coinvolte sono in particolare la Svezia e il Belgio. In un caso senza precedenti, infatti, un tribunale svedese sta processando Hamid Noury, un ex funzionario carcerario sospettato di essere coinvolto nei massacri avvenuti nelle prigioni iraniane nel 1988. La sentenza è attesa per il 14 luglio. Noury, arrestato in Svezia nel 2019, è processato sulla base del principio della giurisdizione universale, che consente agli stati di investigare su gravi crimini commessi all’estero.

Inoltre prima del suo arresto in Iran nell’aprile del 2016, Djalali (che è passato anche per l’università degli studi del Piemonte orientale di Novara) aveva lavorato alla Vrije universiteit di Bruxelles, in Belgio. E proprio in Belgio Assadollah Assadi, un ex diplomatico iraniano, sta scontando una pena a vent’anni di carcere per il suo ruolo in un attacco sventato contro il raduno di un gruppo di opposizione in esilio in Francia nel 2018. Amnesty international denuncia che Teheran sta “condizionando” il destino di Djalali al raggiungimento di un “accordo” con il Belgio per uno scambio di prigionieri. “Le autorità iraniane stanno usando la vita di Ahmadreza Djalali come una pedina in un crudele gioco politico, aumentando le minacce di eseguire la sua condanna a morte come ritorsione se le loro richieste non saranno soddisfatte”, ha detto Diana Eltahawy, vicedirettrice dell’ong per il Medio Oriente e il Nordafrica.

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