“A me piacciono le parole”. Kae Tempest lo dice ridendo, a metà dell’intervista, e riassume come meglio non potrebbe il suo decennio di carriera passato tra poesie, dischi, saggi e opere teatrali. Le parole guidano Tempest, sono il suo strumento per sopravvivere, per dare un senso a quello che lo circonda, essere creativo e, come ha scritto nel suo saggio Connessioni (Edizioni e/o 2022) per uscire dal torpore (in inglese suona meglio, numbness) indotto dal consumismo, dal razzismo e dalle ingiustizie. Il suo lirismo crudo e potente, ispirato dalla sua città, Londra, e da un ampio spettro di influenze culturali che va da William Blake ai Wu-Tang Clan, nel 2013 gli è valso il prestigioso premio poetico Ted Hughes Award (è stata la prima persona sotto i quarant’anni a vincerlo) e due nomination ai Mercury prize, i più importanti riconoscimenti musicali del Regno Unito.
A tre anni di distanza da The book of traps and lessons, le parole di Tempest sono tornate al servizio della musica in un nuovo album intitolato The line is a curve e prodotto dallo storico collaboratore Dan Carey. È il suo primo disco da quando ha scelto il nome Kae e ha fatto coming out come trans/non binario, scegliendo di usare per sé il pronome neutro they/them. È un percorso di liberazione, come ha spiegato l’autore, che parte dall’isolamento e dall’alienazione descritta nel primo brano, Priority boredom, ma poi si apre alla comunità, all’incontro e all’amore, evocato ossessivamente nell’ultimo pezzo, Grace. Come ha scritto Tempest nel testo di presentazione del lavoro, The line is a curve è un disco “sul lasciarsi andare”. Forse anche per questo alla struttura del poema cantato, che aveva reso così potente il capolavoro Let them eat chaos e il successivo The book of traps and lessons, stavolta ha preferito una più canonica forma canzone e una maggiore varietà negli arrangiamenti, nei quali è spesso presente il sintetizzatore analogico Moog. E c’è un’altra novità: le collaborazioni. Nei brani sono ospiti, tra gli altri, Grian Chatten dei Fontaines D.C. e la cantautrice Lianne La Havas.
In collegamento via Zoom da Londra, Tempest ha l’aria rilassata. I capelli cortissimi hanno preso il posto dei lunghi riccioli biondi ai quali ci aveva abituato e porta dei grandi occhiali da vista. Racconta il disco con entusiasmo, sembra impaziente di portarlo sul palco (sarà in Italia per tre date a dicembre): “The line is a curve è una specie di risposta ai miei album precedenti, nei quali ero ossessionato dalla narrativa e dalla fiction. Stavolta parlo soprattutto di me, e non a caso ho messo la mia faccia in copertina, fotografata dal tedesco Wolfgang Tillmans (uno dei primi a documentare la scena rave, negli ultimi anni ha scattato la foto presente nella copertina di Blonde di Frank Ocean, ndr). Ho registrato tutto in presa diretta, al primo colpo, tre pezzi al giorno di fronte a un pubblico di una sola persona. Erano uomini e donne di tre diverse generazioni. Questa scelta mi ha complicato la vita, ma mi ha anche permesso di essere più diretto, viscerale. Prima di incidere ogni brano mi preparavo come faccio per un concerto: accendevo un paio di candele, il mio cane Murphy dormiva sul pavimento, e quando mi sentivo pronto andavo a registrare. È stato strano, ma emozionante”.
Per entrare dentro The line is a curve non ci vuole molto. “Kiss off the day with a mute mouth”, bacia la giornata con una bocca muta: le prime parole arrivano subito come un cazzotto in faccia nel rap incalzante di Priority boredom. La successiva I saw light va già da un’altra parte: da aggressiva, la voce di Tempest si fa calma, quasi sussurrata. Questo pezzo tra l’altro contiene la prima delle tante collaborazioni del disco. “L’album aveva bisogno di altre voci per esprimersi al meglio, è un’opera orizzontale. Quando ho scritto I saw light ho pensato subito che era perfetta per Grian Chatten. Amo il suo modo di scrivere e di cantare. Così gli ho telefonato e per fortuna ha accettato subito. Del resto ogni generazione ha avuto i suoi poeti. Nella musica britannica ce ne sono stati tanti: Joe Strummer, Billy Bragg, Linton Kwesi Johnson. Oggi considero poeti cantanti come Grian e come Jason Williamson degli Sleaford Mods”, spiega Tempest, che spesso prima di rispondere fa delle piccole pause di riflessione, guardando verso l’alto.
Un’altra collaborazione di spicco è quella con Kevin Abstract, leader del collettivo hip hop texano Brockhampton. Come spiega l’artista britannico, è successo tutto grazie al produttore Rick Rubin: “Aver registrato The book of traps and lessons insieme a Rick è stato un passaggio fondamentale per la mia carriera. Stavolta però non gli avevo fatto ascoltare niente, non volevo farmi influenzare dal suo giudizio. Gli ho fatto sentire il disco quando era praticamente finito, mancava solo il secondo verso del brano More pressure. A lui quel pezzo piaceva tantissimo e mi ha suggerito di chiamare Kevin, al quale aveva fatto ascoltare le mie cose”.
Una delle parole che ricorrono nella produzione di Kae Tempest è ghosts, fantasmi. I sette protagonisti insonni del suo album Let them eat chaos, ambientato in una Londra cupa e disperata, vengono spinti fuori di casa da una tempesta alle 4.18 della notte. Sono tormentati dai fantasmi del loro passato e sono vittime delle contraddizioni del “sistema”, parola che l’artista londinese usa spesso per descrivere il capitalismo globale. Ma i fantasmi fanno capolino anche in The line is a curve, in particolare nella canzone Salt coast, struggente lettera d’amore alla sua patria, il Regno Unito. “I personaggi di Let them eat chaos sono perseguitati dal passato, c’è un senso di morte incombente in quei brani. In Salt coast ci sono i fantasmi dell’isola in cui sono nato. Ogni terra è una terra antica, e ogni momento presente è popolato dal passato. Questo vale anche per me. Diciamo che il passato è molto presente nelle persone che ho perso, ma è molto presente anche nelle persone che si sono perse”.
Come detto, The line is a curve è il primo disco pubblicato con il nome Kae Tempest. Ma il tema dell’identità di genere non è mai affrontato in modo esplicito. “Le riflessioni su questo aspetto non sono una cosa nuova per me, vanno avanti da quando sono nato. In realtà della mia identità di genere avevo parlato anche negli altri dischi, ma in modo inconscio. Il tema verrà fuori sicuramente nei prossimi lavori. Il tempo della creatività spesso non va di pari passo con gli avvenimenti della nostra vita”, commenta l’artista.
A proposito, cos’è per Kae Tempest la creatività? “Ovviamente dipende dai punti di vista. Per William Blake, un poeta a me molto caro, la creatività risiede nel sacro e nel sublime. Per me nasce dal quotidiano, dalla fatica. Dagli appunti che scrivo a penna sul taccuino e poi sistemo al computer. È come costruire un cazzo di muro, ci vuole tempo. Ci vuole mestiere. E poi per me la creatività è connessione: connessione tra me e me stesso, tra me e il mondo, tra me e le altre persone”, risponde. Del resto The line is a curve è il suo album più aperto nei confronti degli ascoltatori, sembra l’inizio di un dialogo destinato a durare anni. Suona come la confessione di un artista rinnovato, più consapevole e perfino divertito nel mettere in mostra le proprie fragilità. Per citare un passo del suo saggio Connessioni: “Quando guardo il pubblico, finalmente vedo la realtà. Gente che sente davvero le cose. Musica. Musica dal vivo. Uno spettacolo di parole”.
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