Nell’agosto del 1963, Merloyd Lawrence scrisse sull’Atlantic una cronaca da Barcellona, citando molte delle principali attrazioni culturali della città: i commercianti sulle Ramblas, il cibo e gli edifici progettati da Antoni Gaudí, “il grande architetto catalano”.

Dopo un preambolo nel quale faceva notare che molti “viaggiatori esigenti hanno trovato orrendi i suoi lavori”, Lawrence descrive la Sagrada familia, il più famoso edificio di Gaudí, come “una cattedrale incompiuta e disinvolta nella quale la pietra esplode in fantasie botaniche o straripa come cenere sciolta”.

Cinquantadue anni dopo l’uscita dell’articolo, e 132 anni dopo l’inizio della sua costruzione nel 1883, la magnifica Sagrada familia è finalmente entrata nella fase finale dei lavori. Secondo il capoarchitetto, Jordi Faulí, entro il 2026 saranno aggiunte alla basilica altre sei torri, portando il totale a diciotto, ciascuna delle quali è dedicata a una figura religiosa.

Il completamento dell’edificio dovrebbe coincidere con il centesimo anniversario della morte di Gaudí, anche se l’aggiunta degli ultimi elementi decorativi potrebbe richiedere altri anni di lavoro, dai quattro ai sei, dopo la costruzione delle torri. Quando la basilica sarà completata, con i suoi 188 metri d’altezza, sarà l’edificio religioso più alto d’Europa.

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Gaudí era convinto che il suo cliente, Dio, non avesse fretta e durante il suo lungo periodo di gestazione, la Sagrada familia si è attirata un incredibile numero di giudizi, con cittadini, turisti e critici che discutono sul fatto che sia l’opera di un genio oppure una pacchianata.

Salvador Dalí l’ha definita una “zona erogena tattile”, mentre Walter Gropius la considerava “una meraviglia di perfezione tecnica”. Per definirla, la stampa ha usato espressioni come “mostruosamente, ignobilmente kitsch”, “un’accozzaglia brulicante”, “il fiore all’occhiello del paesaggio architettonico di Barcellona”, “sensuale, spirituale, stramba, esuberante”, “un ammasso di nidi di termiti di pietra giganti” e “una casa di pan di zenzero cotta dal più folle di tutti i maghi”.

La polemica è ancora viva dal momento che Gaudí è morto nel 1926 e la basilica, nella sua forma attuale, potrebbe essere meno della metà rispetto al progetto originale. Altri dicono che l’edificio non andrebbe finito, e che il suo perpetuo stato di costruzione è parte del suo fascino. Non è possibile valutare quanto sia costata, nel corso degli anni, l’edificazione della Sagrada familia, ma il costo annuale di costruzione e manutenzione si aggira intorno ai 25 milioni di euro, coperti dai donatori privati e dai tre milioni di persone che ogni anno visitano il sito.

Nel 2011, lo scrittore P.J. O’Rourke, apertamente scettico nei confronti di Gaudí, ha raccontato il suo tentativo di usare Gaudí per comprendere le stravaganti forme dell’architettura del ventunesimo secolo (leggi: di Frank Gehry). Si è domandato se la Sagrada familia sarebbe rimasta sempre in costruzione, come una specie di monumento in costante mutazione, a testimonianza del genio dell’architetto.

Ammirare il modo in cui Gaudí ha rappresentato tutto il creato che si fonde nell’amore sulla facciata della Natività farebbe tornare la fede a chiunque. Osservo, con una visione periferica indebolita, la navata centrale e quelle laterali, capaci di contenere 14mila fedeli. Ed è la parte meno interessante dell’edificio. Gaudí considerava lo stile gotico imperfetto, poiché per mantenere un simile livello di magnificenza sono necessari dei contrafforti. La casa di Dio, invece, dovrebbe tenersi in piedi da sola. Gaudí ha trovato la soluzione ricorrendo a forme animali e naturali, iperboloidi, paraboloidi ed elicoidi (rispettivamente curve a forma di sella, coni e spirali). Inoltre usava dei frattali, ovvero delle strutture che si moltiplicano in altre che, su scala ridotta, possiedono la stessa forma, come fanno i broccoli. Se una cattedrale gotica è (come alcuni hanno detto, facendo un cattivo uso della loro conoscenza di Shakespeare) una predica nella pietra, allora la Sagrada familia è una predica nei broccoli. Ma non per questo meno potente.

Alla fine, O’Rourke ha concluso che “l’architettura di Gaudí non è stravagante”, ma che egli è, piuttosto, l’ingegnere stesso di Dio. E tra undici anni la sua visione, o almeno l’amalgama tra la sua ispirazione e quella degli architetti che ne hanno fatto le veci in sua assenza, sarà finalmente completa.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è stato pubblicato per la prima volta su Theatlantic.com. Clicca qui per vedere l’originale. © 2015. Tutti i diritti riservati. Distribuito da Tribune Content Agency

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