Qualche giorno fa il più importante festival del fumetto in Francia ha annunciato i trenta candidati al suo Grand prix, che è considerato il premio più prestigioso del settore. Tra di loro non figurava nemmeno una donna.
Di solito c’è almeno qualche donna nella lista del Festival internazionale del fumetto di Angoulême (Fibd). L’anno scorso c’era solo Marjane Satrapi. Di fatto, nei 43 anni di storia del festival c’è stata solo una vincitrice del Grand prix: Florence Cestac, che si è aggiudicata il premio nel 2000. Quest’anno però la reazione è stata immediata.
In primo luogo, ispirati dal gruppo francese Bd Égalité, Collettivo di autrici di fumetto contro il sessismo, dodici autori tra quelli candidati al premio si sono ritirati. Tra questi, Daniel Clowes, Riad Sattouf, Brian Michael Bendis e Chris Ware. L’Fibd ha poi aggiunto sei donne alla lista originale dei trenta candidati. Poi ha eliminato del tutto la lista, dichiarando che la giuria avrebbe potuto votare per chi voleva e che il festival si sarebbe “adeguato all’assoluta libertà di giudizio” dei suoi componenti.
A peggiorare le cose, il direttore del festival, Franck Bondoux, ha rilasciato un’intervista dichiarando che la mancanza di donne tra i candidati aveva un motivo molto semplice: non è colpa della discriminazione, ma dell’assenza di donne qualificate. “Il festival ama le donne, ma non può riscrivere la storia del fumetto”, ha spiegato. A sostegno della sua tesi Bondoux si è appellato alla storia dell’arte. “Se andate al Louvre”, ha detto, “troverete poche donne tra gli artisti esposti”.
Eppure è noto che l’assenza di donne nel periodo limitato di storia dell’arte rappresentato al Louvre è dovuta a ragioni storiche. Le donne non potevano accedere alla formazione accademica ritenuta necessaria per raggiungere il successo. Osservando il mondo artistico moderno, però, è impossibile non notare come si stia cercando di porre rimedio a questa trascuratezza.
“Negli Stati Uniti ci sono autrici di fumetto da più di cento anni”, ha detto Caitlin McGurk, una curatrice della Billy Ireland cartoon library (sede della più ampia collezione al mondo di fumetti e di storie legate al fumetto). “Per tutta la prima metà del novecento molte fumettiste hanno firmato con nomi ambigui o maschili per accrescere la possibilità di essere pubblicate”.
Un lavoro liberatorio
Gli esempi forniti da McGurk sono diversi: June Mills, nota con una versione del suo secondo nome, Tarpé, creò la grande Miss Fury nel 1941. Miss Fury era di fatto la prima eroina d’azione creata da una donna, prima di Wonder Woman. “Agli albori del fumetto, c’erano agenzie nazionali per artiste come Grace Drayton, Rose O’Neill, Nell Brinkley, Ethel Hays e tante altre che nei primi anni del novecento hanno creato, pubblicato e prosperato sotto pseudonimo”, prosegue McGurk.
Cita inoltre Edwina Dumm, la prima vignettista politica degli Stati Uniti, attiva molto tempo prima che le donne ottenessero il diritto di voto e Lou Rogers, la direttrice artistica della pionieristica e discussa Birth Control Review.
Le donne erano inoltre una presenza importante nel movimento dei fumetti alternativi, prosegue McGurk. “Come tralasciare il lavoro liberatorio di Trina Robbins, Joyce Farmer, Carol Tyler, Roberta Gregory e Diane Noomin?. E di tante altre che hanno seguito le loro tracce, da Lynda Barry a Phoebe Gloeckner, Marjane Satrapi, e via di seguito. Queste donne hanno aperto la strada alla grande varietà di disegnatrici oggi attive in questo settore, e la loro presenza non è simbolica. Ciò che più di ogni altra cosa mi spaventa e mi delude del mancato riconoscimento ricevuto da queste autrici, tuttavia, è l’assenza di competenza e di conoscenza storica espressa da chi detiene il potere di conferire simili riconoscimenti”.
Tom Spurgeon, autore del Comics Reporter e direttore esecutivo del Cartoon Crossroads Columbus, un festival di fumetti statunitense, è assolutamente in disaccordo con Bondoux. “In realtà è molto facile riscrivere la storia del fumetto”, afferma. “Succede di continuo. Si riscrive la storia includendo gli autori in queste liste. È terribile, e cinico, sostenere che sia colpa della storia quanto accaduto ad Angoulême. Dai redattori della lista non ci si aspettava che guardassero alla storia. Dovevano esaminare il presente. Zero su trenta equivale a una lettura penosa del presente”.
Spurgeon ha ragione. Senza pensarci troppo, potrei fare i nomi di decine di autrici di fumetti che oggi meriterebbero di ricevere un premio alla carriera. Ci sono le donne del collettivo di manga giapponesi Clamp, il cui lavoro spazia dal mitico shōjo (manga per ragazze) RG Veda al seinen manga (manga per adulti) Chobits. La loro produzione fa impallidire chiunque non sia un creatore prolifico, e la loro influenza è innegabile.
C’è anche Alison Bechdel, autrice da trent’anni delle strisce settimanali Dykes to watch out for a cui si accompagnano due graphic novel di enorme successo, un MacArthur genius award e un musical di Broadway basato sul suo lavoro. E più vicino alla sede del festival, c’è la gigante del fumetto francese Claire Bretécher: la sua opera che prende di mira gli stereotipi di genere è apparsa riviste di settore, in 23 raccolte e anche alla tv francese. Proprio lei, nel 1983 ha ricevuto un premio speciale dall’Fibd, ma non ha mai vinto il vero Grand prix.
È rischioso per qualsiasi festival ignorare il 50 per cento della popolazione
Altre aree del mondo dei fumetti sono riuscite ad andare oltre atteggiamenti simili a quelli di Bondoux. Gli Eisner award, assegnati dal 1988 al Comic Con di San Diego e spesso definiti gli “Oscar del fumetto”, hanno incoronato la prima vincitrice nel 1992, quando Karen Berger vinse per il lavoro fatto in qualità di editor su Sandman.
Molti festival dei fumetti contemporanei hanno fatto di tutto per premiare le autrici. Solo l’anno scorso, una lista tutta al femminile ha fatto incetta dei premi Ignatz allo Small press expo del Maryland. Si potrebbe quasi dire che negli ultimi anni il numero di vincitrici di premi nei festival sia stato travolgente.
In realtà l’unica cosa positiva di tutta questa storia è che l’incapacità di Bondoux di riconoscere il contributo delle autrici alla storia del fumetto potrebbe costare all’Fibd molto più che la sua reputazione. Come ha fatto notare l’autore Bart Beaty, il vincitore del Grand prix va ben oltre il solo merito. È rischioso per qualsiasi festival ignorare il 50 per cento della popolazione quando si parla del suo premio più importante.
Perfino un festival prestigioso potrebbe avere difficoltà ad attirare un pubblico contemporaneo con idee così reazionarie. Per rappresentare il meglio del mondo dei fumetti di oggi è necessario includere chi ha una storia che è stata ignorata o sottovalutata. Speriamo che Bondoux e l’Fibd possano trasformare questa polemica in un’opportunità per cambiare direzione e includere la diversità nel mondo del fumetto, passato e presente.
(Traduzione di Giusy Muzzopappa)
Questo articolo è stato pubblicato dal quotidiano britannico The Guardian.
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