Non c’è un paese in cui la guerra in Ucraina non abbia avuto un impatto significativo. Nel caso della Corea del Sud gli effetti sono stati dirompenti sia sul piano economico (come in tutto il resto del mondo), sia su quello geopolitico. Un ex funzionario del paese mi ha riassunto così la situazione: “Se sei Kim Jong-un, il leader della Corea del Nord, la lezione è semplice. Dopo il crollo dell’Unione Sovietica l’Ucraina ha rinunciato all’armamento nucleare ereditato dall’Urss firmando il ‘memorandum di Budapest’ del 1994, un documento secondo cui la sua sicurezza sarebbe stata garantita dalla Russia e da altre grandi potenze. Ma quel documento alla fine non ha protetto Kiev dall’invasione, come invece avrebbe potuto fare il possesso di alcune testate nucleari”.
Per Kim Jong-un, ovviamente, la minaccia non proviene dalla Russia – il suo regime è stato creato proprio dall’Urss di Stalin dopo la seconda guerra mondiale, e Pyongyang ha appena riconosciuto le due repubbliche filorusse dell’Ucraina orientale – ma dagli Stati Uniti. La dinamica “nucleare contro garanzie di sicurezza”, però, resta la stessa. E se le possibilità che il regime nordcoreano abbandoni l’arma atomica erano già scarse prima dello scoppio della guerra in Ucraina, ora sono inesistenti. La Corea del Sud ne è consapevole, anche se non lo ammette apertamente. Le conseguenze, del resto, sarebbero molte e pericolose.
In Corea del Sud ci si chiede se abbia ancora senso affidarsi alla protezione degli Stati Uniti
Oltre alla questione degli armamenti, l’invasione dell’Ucraina ha riacceso anche un dubbio che era emerso negli ultimi anni a Seoul. Ci si chiede: ha ancora senso affidarsi all’”ombrello” statunitense che protegge il paese dal 1953? Questa domanda era diventata urgente durante la presidenza di Donald Trump, che prima aveva promesso di ritirare le truppe statunitense di stanza in Corea del Sud e poi aveva quintuplicato l’ammontare del contributo di Seoul per il mantenimento dei soldati. Per non parlare del suo “flirt” con Kim Jong-un, alla fine rivelatosi inutile per ottenere la pace.
Tutto ciò ha destabilizzato il rapporto tra Washington e Seoul, comunque determinante per un paese schiacciato tra le ambizioni della Cina, la minaccia nucleare della Corea del Nord e un rapporto storicamente complicato con l’altro gigante della regione, il Giappone.
Ora, come tanti altri paesi sparsi per il mondo, la Corea del Sud è costretta a chiedersi se davvero gli Stati Uniti risponderebbero all’appello nel caso in cui il paese fosse investito da una grave crisi. L’attuale presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha cercato di rassicurare tutti su un suo eventuale intervento, e il nuovo presidente sudcoreano Yoon Seok-yul, che ha posizioni vicine agli Stati Uniti, ha spinto molto sul riavvicinamento a Washington. Ma le incertezze politiche che attraversano gli Stati Uniti in questi mesi, a cominciare dall’esito dubbio delle elezioni di metà mandato in programma in autunno, preoccupano Seoul.
Come prova di questo malessere, per esempio, un gruppo di intellettuali legati ad ambienti di sinistra ha scelto d’infrangere un tabù e chiedere, in una tribuna pubblicata sulla stampa, che la Corea del Sud possa disporre del deterrente nucleare. Sarebbe una rottura strategica, ma la maggioranza dei sudcoreani è favorevole all’idea, consapevole delle minacce che si sono sviluppate in Asia.
La Corea del Sud, quindi, fa parte delle potenze della regione che non si considerano più alleate passive degli Stati Uniti come ai tempi della guerra fredda. Un ex funzionario del paese mi ha parlato in toni entusiasti del generale francese Charles de Gaulle e dell’autonomia strategica europea proposta da Emmanuel Macron. E ha concluso con un giudizio sorprendente: “Gli Stati Uniti sono il nostro protettore e al contempo il paese che non vuole la pace tra noi e la Corea del Nord”. Così il concetto di alleanza assume una forma nuova, nel mondo multipolare in cui le regole sono ancora poco definite. In Corea del Sud come in altre parti del mondo.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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