Una bambina impugna una spada laser rosa: indossa stivaletti dello stesso colore e ha appena schivato i raggi di uno stormo di astronavi. In fondo alla spianata l’aspetta Darth Vader, l’eroe delle guerre dei cloni di Star Wars convertito al Lato oscuro. È l’ultima scena, ma bisogna rifarla. A morire prima che il duello cominci, lei non ci sta: l’inquadratura torna in una stanza, dove provano a convincerla. Il set non è a Hollywood ma dalle parti di Kaduna, nel nord della Nigeria, nel Sahel spazzato dal vento dell’harmattan. Il corto, meno di tre minuti, è girato con uno smartphone. Registi, scenografi e attori sono dieci ragazzi, di età compresa tra gli otto e i 27 anni, che si fanno chiamare The Critics: sui social vanno forte e negli ultimi mesi hanno rifiutato interviste con i giornali nigeriani per star dietro alle richieste che arrivano dall’estero.

“Abbiamo cominciato fregando il telefono a mamma e papà”, racconta Ridwan Adeniyi, production manager e anziano del gruppo. “Per primo ci ha provato Raymond Yusuf, l’esperto di effetti speciali: ci lavorava quattro e poi anche sei ore al giorno; di nostro non avevamo niente, l’importante era poter prendere in prestito”.

È stato utile un computer di seconda mano, trovato in casa e pure quello fatto sparire regolarmente: ore di Wikipedia e tutorial per imparare, software liberi stile Blender e “green screen”, la chiave cromatica, quella che permette di sovrapporre immagini o video, un po’ come accade in tv con le previsioni del tempo quando si sostituisce lo sfondo. Il corto delle spade laser, tra parodia e metastoria, si intitola Another Star Wars story. Gli effetti speciali sono a budget zero. “A Kaduna non funziona quasi mai niente ma il bello è anche questo” ride Adeniyi. “Se fossimo rimasti ad aspettare le videocamere professionali non avremmo neanche cominciato: ci ha spinto la voglia di inventare e raccontare”.

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Il nome The Critics è nato da qui. “Ci piaceva guardare i film nigeriani”, ricorda il production manager, “ma poi ci siamo stufati e abbiamo cominciato a lavorare alle nostre storie”. La ricetta sembra di successo. I corti sci-fi fanno il pieno di like sui social, e non in un paese qualunque: si calcola che Nollywood, com’è soprannominata l’industria cinematografica nazionale, produca 2.500 film e valga oltre 600 milioni di dollari all’anno. Se n’è accorta pure Hollywood: J. J. Abrams, il regista di Star Wars: the rise of Skywalker, ha inviato a The Critics un pacco regalo con monitor, videocamere, stabilizzatori e pc di fascia alta. E adesso i ragazzi di Kaduna stanno collaborando con la Revelations Entertainment di Morgan Freeman. “Con loro faremo il nostro primo lungometraggio, smartphone al cento per cento”, anticipa Adeniyi: “Sarà la storia di un dio africano, lieto fine e soprattutto zero stereotipi”.

Arrivare dappertutto
Una regola d’oro, questa, per smentire le profezie di disgrazia che graverebbero sul futuro del continente. Tra i nuovi progetti di The Critics c’è un film su un astronauta preso a calci dalla vita, che continua a sognare una missione su Marte. Non è detto che ce la faccia, ma il punto è che dalla Nigeria al Sudafrica ci sono ragazze e ragazzi smart, affascinati dalle nuove tecnologie, pieni di speranze e decisi a mettersi in gioco. Li raccontano nuovi autori, giovani e giovanissimi, che con Instagram e TikTok provano ad arrivare dappertutto.

Prendete Sammy Mwaura, keniano, 37 anni, già autore di Chocha, che in lingua swahili vuol dire istigare. Sono tre minuti girati in baraccopoli contro la politica che può trasformare gli amici in assassini. La prima inquadratura è in bianco e nero, un machete e poi sangue su t-shirt che non hanno più colori. “Denuncio il lavaggio del cervello e la manipolazione dei nostri giovani da parte di cricche di egoisti che pensano solo a se stessi”, spiega il regista. È convinto che il dolore, alla fine, possa aprire gli occhi.

Le storie di vita quotidiana e comunità restano spesso fuori dalle rappresentazioni occidentali dell’Africa

Era un ragazzo, il 27 dicembre 2007, quando in Kenya la sfida elettorale per la presidenza tra Mwai Kibaki e Raila Odinga innescò denunce di brogli, con accuse a comunità intere e appelli a farsi giustizia da sé. In due mesi di violenze i morti furono almeno 1.500, gli sfollati 600mila. È un dramma che si deve raccontare, per capire e per rafforzare anticorpi; segno di speranza in tempi di pandemia, alla scoperta di quel mistero straordinario che è la cura dell’altro. Lo racconta Muzzled, uno degli ultimi lavori di Mwaura: nonostante al tramonto cominci il coprifuoco per il covid-19, un ragazzo va in giro fino a tardi per portare insulina ai diabetici.

Secondo il regista, le storie di vita quotidiana e comunità restano spesso fuori dalle rappresentazioni occidentali dell’Africa. “Sono perlopiù basate su voci e falsi miti, quasi sempre mancano di un lavoro di documentazione accurato”, dice Mwaura. “Qui in Kenya le produzioni devono ancora decollare e i nuovi talenti dipendono da altre fonti di reddito per andare avanti; di buono c’è che l’interesse per film ‘africani sull’Africa’ sta crescendo, anche da parte del pubblico straniero, con ricadute positive per i registi locali”.

Profili differenti, a volte lontani tra loro anni luce: Lcharles Degreat, un ivoriano che si definisce “afrofuturista”, autore della saga aliena di Maroon King, non ha molto a che vedere con Shery Yohanna, keniana con origini asiatiche, impegno sociale al 100 per cento. Con la sua Matshepo productions, è diventata imprenditrice.

Proprio come Oladipo O’Fresh, ancora un nigeriano, fondatore di uno studio che dà lavoro a venti persone, da tecnici di fotografia a esperti di postproduzione. Le riprese con lo smartphone, per lui, sono cominciate dopo un fallimento cinematografico. “Sono finito sul lastrico per le spese di marketing e promozione”, ricorda. “Poi un giorno stavo giocherellando con il mio iPhone 6s e mi sono reso conto che forse potevo farcela: mi sono messo a studiare e ora giro solo su mobile”. È suo Onslaught, 26 minuti in formato verticale, “una prima assoluta”, assicura. È la storia di un ragazzo che sposta mattoni in un cantiere e si convince di poter cambiare vita grazie a un anello dai poteri straordinari. Il corto sarebbe una riflessione sulla forza di volontà e sull’esistenza: O’Fresh ne parla così, definendosi autore “faithbased”, religioso e contemporaneo.

Nuove opportunità
A dicembre ha pubblicato Sweet4ty, il primo lungometraggio tutto su telefono. Le sue storie sono state premiate all’African smartphone international film festival (Asiff), una rassegna nata nel 2017 a Lagos, megalopoli più popolosa d’Africa e capitale di Nollywood. La manifestazione è organizzata da Michael Osheku, già assistente di produzione, sceneggiatore e regista con lavori selezionati anche a Londra e a Los Angeles. Ora sorride in videocollegamento, elencando difficoltà e poi ribaltando tutto al positivo. “Nella maggior parte dei casi i registi indipendenti africani non sono valorizzati e i loro progetti vengono tenuti fuori dai principali festival internazionali”, premette. “Con la rassegna proviamo a rispondere a due problemi: ci sono film-maker con grandi contenuti che non hanno accesso alle piattaforme di distribuzione; ci sono talenti pieni di idee che non dispongono delle risorse economiche”.

Accanto ai nodi da sciogliere ci sono però nuove opportunità, che la pandemia di covid-19 non ha ridotto, forse anche accelerando processi già in corso. “I film su smartphone hanno creato possibilità praticamente illimitate per tanti giovani, su YouTube e altri social network”, sottolinea Osheku. “A girare con gli smartphone sono sempre più anche film-maker professionisti: l’industria cinematografica sarà investita da una produzione dal basso e a beneficiarne sarà anzitutto Nollywood, che già ora è la seconda potenza mondiale”.

Non contano solo i soldi. È fondamentale la prospettiva. I ragazzi di Kaduna ripetono che “se ora non lo puoi fare, lo potrai fare tra un po’”. Come dire: l’Africa conquisterà Marte, senza aspettare le cineprese di Hollywood. Osheku, il fondatore del festival, ha appena aperto le candidature per la quinta edizione. “Questo è un progetto di presa di coscienza, bisogna contrastare la vecchia narrazione ‘svaligia la banca e prenditi le videocamere più costose’” dice, l’indice puntato e il pollice sul grilletto. “Credetemi, l’Africa è il futuro del cinema, non solo dei corti; abbiamo milioni di storie che non sono state mai raccontate”.

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