Carlo Conti afferma convinto che venire qui in provincia gli serve tanto, vedere la gente normale che si alza tutte le mattine e va a lavorare e la fatica, la fatica vera, insomma questo festival è dedicato a loro. E nella prima serata ha subito ricordato tutti quelli che lavorano duro dietro le quinte, anche se lo ha fatto perché nei frenetici cambi di palco, nascosti di solito con sapienza alle telecamere, vi era stato un piccolo intoppo e comparivano sullo sfondo gli attrezzisti. Ma forse pure quella minima sbavatura era stata programmata: le casualità preparate e gli errori intenzionali sono, almeno dai tempi di Baudo, una delle caratteristiche del festival più vero del vero. E alla gente normale non cambia poi molto.
Arisa è contenta di tornare ancora una volta a Sanremo. Ricorda bene gli inizi di carriera a SanremoLab, la locale manifestazione per giovani talenti da catapultare nelle nuove proposte del festival. Negli ultimi anni quell’evento, oggi chiamato AreaSanremo e in origine Accademia della Canzone di Sanremo (alla prima edizione, nel 1997, si iscrisse Tiziano Ferro, subito scartato), ha subìto però l’ascesa dei talent show, che offrono molta più vita vera e molti più cantanti senza cognome al festival.
Arisa non ha dimenticato la gavetta, quando mangiava da sola un panino sulle panchine del porto vecchio di Sanremo. Poi sono venute una vittoria a SanremoLab, una nelle nuove proposte, una nei big e una co-conduzione al festival (Conti è sempre attento a non utilizzare senza virgolette il termine valletta, Arisa invece lo porta con tranquillità, anzi lo ostenta, perché al suo personaggio è consentito o lei è proprio così, non cambia poi molto).
Ma all’artista pure questo ultimo riconoscimento non basta e non le interessa più di tanto neppure vincere un altro Sanremo. Un trionfo ancora al festival non cambierebbe quasi nulla nella sua carriera, per allargare il suo mercato ci vuole invece qualcosa di internazionale. Quando ha affermato per la prima volta di voler andare all’Eurofestival nel caso il vincitore di Sanremo di quest’anno rinunci al posto spettante per diritto, pensavo scherzasse. E invece era perfettamente seria: l’Italia le va stretta. Sogna di essere Tiziano Ferro, di scendere sul festival come un miracolo dal cielo e andare subito via. Per Arisa questa settimana il palco di Sanremo è la sua nuova panchina.
Liz Taylor. A metà gennaio del 2002 o 2003 ricevetti una telefonata all’Azienda di promozione turistica dove lavoravo. La persona in linea si presentò con “Buongiorno, sono la sosia di Liz Taylor!”, rimasi interdetto qualche secondo (mentre pensavo “io somiglio al chitarrista alto dei Sonic Youth, signora!”) e chiesi infine come potevo aiutarla. Liz voleva parlare proprio con “l’organizzazione del festival”. Ah va bene, era una di quelle telefonate… Le diedi il numero dell’assessorato al turismo del comune, con molte scuse, “signora, noi forniamo informazioni sul soggiorno e la località, la possiamo aiutare se le serve un albergo o cose così, ma per queste cose del festival deve chiedere a loro, mi spiace tanto”. Le colleghe più esperte mi spiegarono poi che era una “famosa”, un “personaggio” sempre in giro per la città nei giorni della manifestazione. Negli anni seguenti la seguirò in tutti i pezzi di curiosità e la vedrò in tutti i reportage fotografici (anche se talvolta viene indicata come sosia di Liza Minnelli, e va bene uguale).
Quest’anno non l’ho ancora incontrata per le strade di Sanremo, ma una ricerca su Google m’indica articoli dove fornisce ancora una volta le centoventi battute della nota di colore (e forse non è nemmeno venuta, nessuno romperà l’anima a un giornalista per una finta diva americana spostata di anno). Pure la sosia di Liz Taylor avrà cercato su Google “Festival sosia di Liz Taylor”, compulsivamente. Ma il suo ritratto più vero non compare e rimane in un libro di Cristiano De Majo e Fabio Viola (nel brano che segue il primo scrive una lettera al secondo dal festival 2007): “Pensami, mentre mangio una pizzetta in piedi davanti al bancone di una rosticceria parlando con Liz Taylor, la presidentessa del Sosia Fan Club. Pensa ai suoi capelli vaporosi. Al suo vestito di raso viola sotto la pelliccia bianca. Al suo trucco. Alla sua pelle arrossata, che sul collo si perde in mille rivoli, come infiniti e minuscoli affluenti del Gange su una mappa dell’India. Da lei vengo a sapere che il Sosia Fan Club conta l’adesione di quattrocento sosia e che organizza feste Vuoi una serata speciale?, ovviamente con sosia. Lei mi dice che ha fondato l’agenzia per divertimento e per ‘portare avanti il discorso dei sosia’”.
F. Un’altra telefonata, ieri pomeriggio alle tre. Chiamo un caro amico che non sento da un po’, ha un locale proprio sotto la passeggiata Imperatrice, a lato della pista ciclabile, zona dei grandi alberghi, seicento metri dal Casinò, insomma ottima posizione seppur non proprio in pieno centro città. Vorrei fare un salto in serata e scrivere qualcosa su chi lavora intorno al festival: ristoratori, cuochi, baristi, tassisti, addetti alla sicurezza, fioristi eccetera. F. non mi risponde e lo immagino ancora impegnato con i pranzi. Dopo un quarto d’ora richiama e si scusa ma era sopra un olivo a Dolceacqua (un paese dell’entroterra) nella casa di campagna della sua famiglia. Faccio una battuta scontata sul barone rampante di Calvino mentre mi spiega che sta lì tutta la settimana a lavorare in campagna e godersi il paesaggio anche in bici (si rammarica di non essere un grande scalatore, perché la strada subito sale). Il ristorante giù a Sanremo rimane chiuso per tutto gennaio e febbraio, non gli conveniva aprire solo per il festival. “Da qualche anno porta meno, fanno le prove e poi rivanno a Roma e Milano, non rimangono qui per settimane come un tempo. Solo in questi giorni c’è del movimento, ma a mangiare rimangono tutti in piazza Bresca”. Intende la piazza dei ristoranti di pesce a cento metri dall’Ariston, quella che le testate locali, sognando le ramblas o almeno Ponte Milvio, non mancano mai di chiamare in questi giorni “il centro della movida sanremese”.
Parlando con il mio amico delle cose normali, della vita vera nella città del festival, mi rendo però conto che F. avrebbe molto da dirmi. Mi racconta di suo figlio piccolo che ha paura di uscire di casa – vivono nella parte bassa della Pigna, la città vecchia di Sanremo, a centocinquanta metri dall’Ariston – perché ha visto troppo da vicino due risse collegate allo spaccio di droga. “Ma sono così tanti? Ma chi la compra tutta ‘sta droga a Sanremo?”, “Vengono da Savona e pure dalla Francia”. E mi chiede se ho letto il rapporto dell’Osservatorio sulla criminalità organizzata diretto da Nando Dalla Chiesa.
Non ancora, ma intanto dirà le solite cose che sappiamo tutti: “Imperia è sicuramente la provincia con il più alto indice di presenza mafiosa della regione [Liguria], uno dei più alti in assoluto nell’intero nord Italia. Vi si riscontra una forte penetrazione della ‘ndrangheta nel tessuto sociale, confermata dalla presenza di due comuni [Bordighera e Ventimiglia] attinti da decreto di scioglimento per condizionamento e infiltrazioni mafiose. In quest’area sono presenti importanti famiglie residenti in comuni di modesta estensione territoriale tra loro attigui. Dovendo considerare gli indicatori primari di presenza mafiosa, emerge un quadro tanto allarmante quanto anomalo”.
Quello studio non mi serve proprio adesso, dovrei scrivere un pezzo di colore, un po’ particolare e un po’ più sincero della media ma pur sempre di colore festivaliero, magari con qualche immagine ed espressione curiosa.
Nella foto qui sotto uno dei tipici vicoli (”carruggi”, nel dialetto locale) della Pigna. Siamo a centocinquanta metri dall’Ariston. Al sole di mezzogiorno e soprattutto nella settimana del festival la città vecchia di Sanremo è stupenda.
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