Mentre attraverso Soho square un fresco venticello newyorchese soffia tra le foglie degli alberi. Percorro Frith street, supero la casa di William Hazlitt e un negozio di tatuaggi. La strada è ancora appiccicosa dalla notte precedente. Le pozzanghere sono opache e dense.
Al numero 47 il Ronnie Scott’s è in ristrutturazione. Il cast del musical Mary Poppins esce dall’ingresso laterale del Prince Edward theatre. Alcuni tavolini traballanti poggiano sul marciapiede sporco di fronte a Bar Italia, Little Italy e Nino’s. Una donna con i capelli folti e degli occhiali da sole di Chanel stringe tra le mani una tazza di cappuccino in cerca di calore.
Un vigile sta facendo la multa a un’autopompa. Giro in Old Compton street, schivando gli uomini in grembiule che spingono carrelli stracarichi. Sulla sinistra, in Greek street, delle tendine di tulle ingrigito svolazzano nella brezza primaverile. Sulla destra c’è il Café Bertaux.
Vengo accolto da una donna con una sciarpa a pois, i capelli raccolti come una brioche danese e una voce rassicurante come il caffelatte. Mi dice che mi porterà di sopra il caffè e i pasticcini. Generazioni di piedi hanno consumato il linoleum delle scale. L’aria è satura dell’equivoco carisma della Soho di Quentin Crisp. Su ogni tavolo di formica c’è un bicchiere con due tulipani.
Una coppia di motociclisti sorseggia del tè: lei ha una giacca a righe e una frangia alla Betty Page. Lui ha il ciuffo che gli cade sulla fronte, occhiali alla Malcolm X e anelli d’oro a tutte le dita. Un gruppo di persone chiacchiera davanti a pile di piatti vuoti. Stanno facendo la classifica di chi è più ricco. “Io cerco vivacità e umorismo”. “Io bado al mio conto spese”.
Una Virginia Woolf in un abito a fiori siede di fianco a un uomo con un panama. Sulla mia destra una giovane designer sfoglia il suo book e affonda il cucchiaino nella dolce corruzione di una torta alle fragole. La mia è una traballante torre di frutta e sauce anglaise. I sapori non sono oscurati dalla dolcezza.
I lamponi fanno sentire la loro acidità in mezzo alla crema pasticciera. Non è qualcosa da mangiare con avidità, ma da gustare boccone dopo boccone, così che nessun sapore sfugga alla possibilità di essere gustato.
Bertaux è l’antitesi delle catene di caffetterie. La sua eccentricità e il carattere trasandato non possono essere replicati a ogni angolo. E poi è caro. È un posto dove portare qualcuno che vi piace. Qualcuno che apprezza un piccolo piacere.
Internazionale, numero 646, 15 giugno 2006
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