A volte sapere e capire troppo è un male per un giornalista. Questo pensiero mi è venuto il 19 marzo, mentre osservavo la piccola manifestazione organizzata a Ramallah, in Cisgiordania, per protestare contro la visita di Barack Obama.
Conosco alcuni dei manifestanti che esprimevano la loro indignazione per il sostegno della Casa Bianca a Israele. Molti di loro provengono dalle organizzazioni palestinesi di sinistra, e teoricamente sono coscienti del significato dell’imperialismo. Eppure tutti i manifestanti sembravano davvero convinti che la politica statunitense sia dettata da Israele. La manifestazione è stata bloccata dai poliziotti poco prima di raggiungere due fast food americani. Tra i manifestanti ho riconosciuto persone rinchiuse nelle carceri israeliane, ma anche altre che hanno studiato negli Stati Uniti grazie a una borsa di studio.
Soprattutto ho riconosciuto l’energico e attraente ragazzo che gridava slogan sprezzanti contro la resistenza pacifica e invocava la violenza. Il ragazzo ha incrociato il mio sguardo e mi ha fatto l’occhiolino. Lo conosco da quando era un bambino, e conosco la triste storia della sua famiglia. Lui sa che non approvo quegli slogan vuoti: non sono diretti contro Israele, ma contro i comitati palestinesi che negli ultimi anni hanno portato avanti una lotta non armata.
Sicuramente vuole essere arrestato, per essere riconosciuto come un eroe. Probabilmente un po’ di tempo in prigione mitigherà il suo senso di fallimento.
Traduzione di Andrea Sparacino
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