Una scena spiega tutto: i partecipanti alla “conferenza di pace” organizzata da Ha’aretz a Tel Aviv costretti a lasciare la sala in fretta e furia. Era stato appena annunciato il possibile arrivo di un razzo da Gaza. Solo un uomo è rimasto seduto tra le sedie vuote: Yuval Diskin, ex capo dello Shin bet, i servizi segreti interni. Diskin sa bene che la probabilità di essere colpiti a Tel Aviv da un razzo proveniente da Gaza è pari a zero.

Qualche ora dopo mi sono ritrovata a camminare sul lungomare, pensando a quanto siano vicine le rive di Gaza. Poi ho assistito a un’esplosione in cielo. Un altro razzo era stato intercettato dalle moderne difese israeliane. Eppure nelle zone più vicine a Gaza, nel sud del paese, gli israeliani hanno paura. Da quelle parti i razzi (più di duecento in meno di due giorni) possono uccidere. Ma a differenza dei palestinesi, gli israeliani possono contare sui rifugi blindati.

Finora nessun israeliano ha perso la vita in questo nuovo conflitto. I morti palestinesi sono almeno 43, in maggioranza civili. “Ma per noi continuare a lanciare razzi mentre Israele ci attacca è già una vittoria”, mi ha spiegato un amico di Hamas. Per quelli come lui è una questione di dignità. La vita sotto assedio è così umiliante che la morte è una scelta più onorevole. Quando gli ho chiesto perché si ostinano a giocare una partita militare in cui Israele è nettamente superiore, mi ha risposto così: “Perché nient’altro ha funzionato. Né la diplomazia né l’opposizione pacifica”.

Traduzione di Andrea Sparacino

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