Alle nove di sera di martedì la mia direttrice mi ha comunicato con gentilezza che il mio articolo sul deterioramento del sistema sanitario a Gaza sarà rinviato. È arrivata la notizia che la settimana prossima la polizia pubblicherà le sue raccomandazioni a proposito delle indagini sul premier Benjamin Netanyahu, e per la direttrice l’argomento merita la prima pagina.

A Gaza il 40 per cento dei farmaci essenziali è esaurito e un altro 6 per cento si esaurirà nelle prossime settimane. Più di duecento strumenti usa e getta (come le garze e i guanti) stanno finendo. La fornitura elettrica a singhiozzo (otto ore al giorno) fa dipendere le strutture sanitarie e la vita dei pazienti dai generatori. Dodici di questi sono fuori uso: non ci sono soldi per ripararli e mancano i pezzi di ricambio. I laboratori funzionano solo parzialmente, quindi c’è una carenza di donazioni di sangue. I macchinari per le tac e le risonanze magnetiche non funzionano. Le persone non hanno i soldi per rivolgersi ai centri privati o per comprare i medicinali nelle farmacie. Un amico, professore di scienze, mi ha detto: “La mia paura più grande è ritrovarmi impotente davanti a un familiare che non riesce a trovare le medicine di cui ha bisogno”.

Di chi è la colpa? Naturalmente dell’occupazione israeliana. Le limitazioni al movimento di persone e beni hanno ucciso l’economia. Ma è anche colpa del conflitto tra Hamas e Al Fatah sulla gestione dei fondi pubblici, difficile da comprendere e da accettare.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Questa rubrica è stata pubblicata il 9 febbraio 2018 a pagina 27 di Internazionale. Compra questo numero | Abbonati

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