Cile 1973 è il nuovo numero di Internazionale storia e racconta il colpo di stato che rovesciò il governo di Salvador Allende e gli anni della dittatura di Augusto Pinochet attraverso la stampa dell’epoca. Si può comprare in edicola, in libreria e online, oppure in digitale sull’app di Internazionale.

Tra gli orrori che il novecento ci ha lasciato in eredità, insieme a grandi utopie e straordinari progressi sociali e tecnologici, un posto di rilievo lo meritano senz’altro, con i loro impareggiabili repertori di brutalità, le dittature sudamericane. E in particolare quella cilena.

Il regime militare di Augusto Pinochet è stato forse il più riconoscibile e famigerato modello di governo autoritario del dopoguerra, almeno in America Latina. Per chi ha vissuto gli anni settanta e ottanta, l’incarnazione stessa dell’autoritarismo più impudente era proprio la faccia del generale cileno, con i suoi immancabili occhiali scuri e un’espressione tra il compiaciuto e l’enigmatico.

Era il 1973 quando, nel primo 11 settembre passato alla storia, ventott’anni in anticipo rispetto a quello dell’attentato alle torri gemelle, i militari cileni rovesciarono con i carri armati il governo del presidente Salvador Allende, impegnato da quasi tre anni nel complicato esperimento di trasformare, pacificamente e nel rispetto della legge, il Cile in una democrazia socialista. Il regime nato da quel golpe si rese responsabile di violenze indicibili e di una completa riorganizzazione sociale ed economica del paese, per poi cadere, quindici anni dopo, senza spargimenti di sangue ma attraverso un referendum popolare, lasciando però ai cileni un’eredità difficilissima da gestire.

Raccontare oggi quegli anni – dalla soppressione del progetto politico di Allende, alle torture e agli omicidi compiuti dal regime, fino al ripristino dell’ordine democratico – vuol dire prendere posizione in difesa della libertà e della democrazia, ribadire la pericolosità di ogni tentazione autoritaria e riconoscere i rischi che possono sorgere quando ci si appella con troppa insistenza agli slogan del nazionalismo, del tradizionalismo, dell’ordine.

Ma parlare dei fatti cileni significa anche chiedersi perché nell’agosto del 1973, al culmine di un periodo di caos economico e di polarizzazione, l’ipotesi di un colpo di stato di destra appariva a molti osservatori molto probabile. E soprattutto invita a interrogarsi su un punto fondamentale: un governo che agisce nel sistema di alternanza politica di una democrazia rappresentativa fino a dove può spingersi nel ridisegnare i confini stessi del sistema, senza alimentare la reazione, più o meno violenta, dei gruppi di potere e dei partiti che sostengono lo status quo?

In altre parole: al netto dei sabotaggi della classe proprietaria e delle interferenze internazionali, in particolare statunitensi, il sogno di Allende di costruire il socialismo senza strappi rivoluzionari era comunque destinato al fallimento? Oppure in altre circostanze si sarebbe potuto realizzare?

Gli articoli raccolti in queste pagine non danno una risposta definitiva, ma offrono elementi di riflessione e un punto di vista diverso su una pagina fondamentale della storia novecentesca che, come dimostrano le recenti cronache politiche cilene, con ogni evidenza non si è ancora del tutto chiusa.

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Cinquant’anni fa il golpe in Cile, da Santiago ne parla Evgeny Morozov nella puntata odierna di Il Mondo.

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