Se tutti mentono, ma non tutti allo stesso modo, diventa cruciale capire le differenze che esistono tra bugia e bugia, e tra bugiardo e bugiardo.
L’edizione inglese di Wikipedia raccoglie un discreto catalogo di specifiche forme della menzogna: dal bluff alla diffamazione, dalla frode all’omissione all’esagerazione promozionale. Una distinzione abbastanza accreditata individua tre macro-categorie. Lo fa colorando le bugie di toni diversi: bianco, nero e blu. E identifica i bugiardi secondo le loro intenzioni e la propensione a mentire.
Ci sono le bugie bianche, empatiche, dette per gratificare l’interlocutore o per non offenderlo, oppure per non pregiudicare una relazione. Sono frequenti e vengono considerate socialmente accettabili. Appaiono come un modo tutto sommato inoffensivo per smussare gli spigoli e semplificarsi la vita. Magari, perfino per renderla più piacevole.
Gli esseri umani cominciano a mentire in questo modo intorno ai due-tre anni: una capacità già registrata nel 1877 da Charles Darwin, osservando il comportamento del proprio figlio di due anni e mezzo.
Distorcere la realtà
Alcuni ricercatori sostengono che mentire è un segno di intelligenza precoce: vuol dire che i piccoli stanno cominciando a costruirsi quella che gli psicologi cognitivisti chiamano una “teoria della mente”. Cioè provano a immaginare quello che gli adulti credono e vogliono, e mettono in atto strategie finalizzate a migliorare le relazioni con loro e a guadagnarsi la loro approvazione.
Devo però segnalare che lo psicologo Vasudevi Reddy afferma che i piccoli cominciano a mentire addirittura intorno agli otto-dieci mesi. Lo fanno modificando il proprio comportamento (per esempio, piangere) non in seguito a fatti oggettivi, ma per ottenere dagli adulti le reazioni che più desiderano.
Tra gli otto e gli undici anni i bimbi capiscono che dire bugie è peggio che dire la verità, e cominciano a sentirsi a disagio quando mentono.
Erat e Gneezy, ricercatori alla School of Management dell’università di San Diego, in un citatissimo studio segnalano che c’è comunque una differenza tra quelle che definiscono altruistic white lies (dette per procurare un vantaggio a un’altra persona a proprio danno, per esempio: “Prendi pure l’ultimo bignè, a me non va”) e quelle che definiscono pareto white lies, intese a massimizzare il vantaggio per entrambi (per esempio: “Non preoccuparti, tesoro, questo taglio di capelli ti sta benissimo”. Oppure: “Sono così felice di vederti!”).
Meglio andarci piano, ricordando che una relazione sana, forte e autentica non dovrebbe aver troppo bisogno di bugie
Ma perfino le bugie bianche hanno controindicazioni: danneggiano l’autostima. A lungo andare, diminuiscono il grado d’intimità in una relazione affettiva e la rendono stereotipata. Riducono la fiducia reciproca. Distorcendo la realtà in termini troppo favorevoli, disincentivano il confronto, il cambiamento, il miglioramento e la crescita. Possono risultare sempre più difficili da sostenere nel tempo.
In azienda incoraggiare una cultura che preferisce le bugie bianche ai commenti critici può condurre a compiere errori sostanziali. Inoltre – l’ha dimostrato uno studio finanziato dalla John Templeton Foundation – dire meno bugie (bugie bianche comprese) migliora lo stato di salute, e perfino la qualità delle relazioni.
Insomma: meglio andarci piano, ricordando che una relazione sana, forte e autentica non dovrebbe aver troppo bisogno di bugie, e neanche di bugie bianche.
Torbido brodo
Poi ci sono le bugie nere, egoistiche, dette a scopo predatorio, per guadagnare un vantaggio immeritato a scapito di qualcun altro o per evitare una punizione. Sono palesemente dannose. Distruggono reputazione e fiducia. Vengono stigmatizzate e ritenute socialmente inaccettabili. Possono avere risvolti penali. Le due crisi globali del nuovo millennio, quella relativa ai mutui subprime e quella connessa con il covid-19, sono diventate pervasive proprio accrescendosi in un torbido brodo di coltura fatto di bugie.
La maggior parte delle persone si astiene dal dire bugie nere. Chi dice bugie nere lo fa perché si sente superiore e inattaccabile, perché crede di aver poche possibilità di essere scoperto, e perché si aspetta che la sua menzogna gli procuri un vantaggio consistente. Ma la strada delle bugie nere è fangosa e scivolosa: quando si comincia è facile precipitare sempre più giù, e smettere sembra impossibile.
Da questo punto di vista è esemplare la storia di Jessica Krug, docente alla Washington University, che per anni e a scapito dell’intera comunità nera si finge afroamericana per ottenere vantaggi accademici (qui il suo resoconto su Medium. L’esordio è questo: “Per la parte migliore della mia vita adulta, ogni mossa che ho fatto, ogni relazione che ho avuto è stata radicata in un terreno intossicato dal napalm delle bugie”). Per la cronaca: Krug ammette di aver mentito solo dopo essere stata scoperta.
Un contemporaneo campione della menzogna seriale sembra proprio essere Donald Trump
Narcisismo e senso di superiorità, egocentrismo, manipolazione e assenza di ogni senso di colpa sono caratteristiche dei bugiardi patologici. Molti di questi sono anche persone di potere. Un contemporaneo campione della menzogna seriale sembra proprio essere Donald Trump. Forbes pubblica una serie di grafici che danno conto di tutte le menzogne certificate dette da Trump tra il 2017 e il 2020, censite per argomento e luogo.
Il fact checker del Washington Post attesta che all’inizio di luglio del 2020 Trump ha superato quota ventimila per quanto riguarda le affermazioni fuorvianti o palesemente false. Una curiosità: una menzogna ripetuta ben 128 volte (il Washington Post si prende perfino la briga di spiegare perché si tratta di una menzogna) è questa: “I have done more than any president in history in first 3 1/2 years!” (io ho fatto più di qualunque altro presidente della storia nei primi tre anni e mezzo).
E ancora: una recentissima ricerca dell’università Cornell attesta che Trump è la maggior fonte singola mondiale di disinformazione sulla pandemia. E sottolinea che in quest’ambito le affermazioni false costituiscono una seria minaccia per la salute pubblica.
Il fatto notevole è che molti bugiardi patologici, intrappolati nel proprio narcisismo, sono sia gli eroi sia le vittime delle proprie favole mentali. Vivono dentro la propria mistificazione, ed è questo il fondamento della loro coazione a mentire, il motivo per cui devono continuare a mentire, e per cui mentire risulta così facile.
Alcuni rappresentano se stessi come Martiri Perpetui. Altri come Salvatori Universali. Altri come Modelli Esemplari. Sono solamente tattiche diverse per esercitare il controllo e consolidare i propri vantaggi.
Insomma: molto meglio stare alla larga.
All’interno del gruppo
Infine, ci sono le bugie blu. Favoriscono sia il mentitore sia la sua sfera di appartenenza (amici, colleghi, compagni, associati, seguaci, sostenitori, familiari) e hanno l’obiettivo di accrescere l’identità di un gruppo, la sua coesione e il suo successo, ovviamente a scapito di altri. E questo è il motivo per cui le bugie blu risultano non credibili fuori dal contesto del gruppo di riferimento, ma perfettamente legittime e plausibili all’interno del gruppo medesimo: sono esattamente ciò che gli appartenenti al gruppo vogliono sentirsi dire.
Ma non solo. Perfino quando gli appartenenti al gruppo sono consapevoli del fatto che a favorirli è una bugia, considerano che la falsità sia solo un dettaglio irrilevante: dopotutto, la menzogna sta “promuovendo una buona causa”, no?
I ragazzini entrano in contatto con le bugie blu man mano che crescono, che si identificano con un gruppo di altre persone e che percepiscono una pressione sociale per l’appartenenza. La loro tolleranza per le bugie blu sembra crescere con l’età e applicarsi a gruppi via via più ampi.
Secondo lo psicologo Kang Lee, le bugie blu (quelle dei ragazzini) si collocano a metà tra le bugie bianche e le nere (qui la sua sintesi degli studi disponibili sul tema).
In realtà nel mondo adulto le bugie blu sono altamente disgreganti proprio a livello sociale: incoraggiano l’aggressività e la competizione, fino a giustificare la trasformazione dei non appartenenti al gruppo in “nemici”.
Le bugie blu sono diffuse all’interno di ambienti molto polarizzati: la politica, per esempio (la disinformazione è fatta di bugie blu) o un’organizzazione in cui due fazioni entrano in conflitto per il comando.
Ma possono anche essere anche impiegate da gruppi più ristretti a fini squisitamente corporativi, per difendere se stessi e la propria reputazione, o per mascherare abusi e incapacità.
Provate a pensare a cosa succede se e quando un’équipe medica o una squadra di poliziotti comincia a praticare le bugie blu (qui trovate raccolti ben 62 esempi statunitensi. E considerate che l’articolo è del 2017). E pensate a cosa succede se a dire bugie blu è un gruppo di pubblici amministratori, di atleti, di consulenti finanziari.
Vi viene per caso in mente qualche esempio più recente e più vicino?
(Questo è il secondo di due articoli sulle menzogne. Ecco il primo).
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it