Il 2 ottobre Fininvest ha perso la causa per diffamazione che mi aveva fatto nel 2004 per il mio primo articolo su Internazionale, in cui descrivevo il ruolo che Fininvest e altre aziende italiane hanno avuto nell’accelerare il declino del paese. Il tribunale non solo ha respinto le accuse come infondate ma ha anche condannato la Fininvest a pagare le spese processuali e del mio avvocato.(1)

Pochi mesi prima, anche il senatore Previti, ex avvocato di Fininvest, pregiudicato e reo confesso, aveva perso la causa per diffamazione che mi aveva intentato. Né io né i giuristi che avevo consultato avevamo dubbi sull’impossibilità per Fininvest di vincere una causa intentata contro un semplice testo di satira politica tratto dallo spettacolo che avevo replicato decine di volte sui palcoscenici di tutta Italia.

Fininvest: un nome, una promessa. Quella di investire bene i soldi degli azionisti. E invece che fanno? Sprecano tempo e denaro dell’azienda per intentare cause per diffamazione che sanno di perdere. Vi sembra buona amministrazione questa?

L’ho sempre detto: Fininvest e i suoi amici hanno troppi avvocati. Più di una settantina li hanno piazzati in parlamento, a fare le leggi che poi usano nei loro processi. Ma come impiegare il tempo degli altri? Semplice: facendogli fare cause contro chiunque dica o scriva verità o opinioni sgradite, poco importa se le cause verranno perse.

L’importante è far sapere ai potenziali critici che, anche se vinceranno la causa, dovranno pagare caro il loro diritto d’opinione: comunque vada, dovranno incaricare e pagare un avvocato, fare diversi viaggi a proprie spese per andare alle udienze, perdere giornate di lavoro per preparare la difesa e partecipare al processo.

Uno come me ha il tempo e la notorietà per difendersi, ma gli altri? Francesco Giuffrida è un coraggioso dirigente della Banca d’Italia che su incarico della procura della repubblica di Palermo per il processo a Marcello Dell’Utri ha condotto un’accurata perizia tecnica sui flussi di capitali diretti alla Fininvest. Per questo dovrà comparire in giudizio, citato dalla Fininvest per presunti danni morali.

La citazione è arrivata alla vigilia del processo d’appello per Dell’Utri, e in corrispondenza con un altro incarico attribuito a Francesco Giuffrida, questa volta dalla procura di Roma, per indagare sui movimenti di capitali legati alla vicenda di Roberto Calvi. “Sembra una minaccia, un modo per zittirlo e intimorirlo al processo”, ha dichiarato a giugno un magistrato al giornalista del Corriere della sera Felice Cavallaro.

È la stessa tecnica usata contro i critici da altri venditori di fumo, le multinazionali del tabacco. Ai loro amici e alleati che vengono dalla tradizione del manganello e dell’olio di ricino, gli uomini Fininvest insegnano una via più elegante per intimidire chi li contesta. È la via legale all’egemonia e all’arricchimento immeritati.

I misfatti più grandi di molti uomini Fininvest e dei loro amici sono proprio quelli commessi in modo legale. Il peggiore è stato il prelievo di decine di miliardi di euro in un paio di decenni “dalle tasche degli italiani” – anche di quelli che non guardano le loro televisioni – che hanno comprato e comprano i prodotti della pubblicità. Del prezzo pagato dal consumatore infatti una percentuale consistente, spesso il cinque o il dieci per cento o anche di più, è risucchiato dal prelievo per finanziare la macchina pubblicitaria, la più iniqua delle “tassazioni” sui consumi.

Come scrivevo due anni fa, più che di profitti in un mercato competitivo, si tratta di una rendita senza rischi, basata sul monopolio, sullo statalismo, sulla produzione di niente di materiale. Meriti e rischi non ne ha, perché il bombardamento pubblicitario è forzato e non è evitabile dai cittadini (altro che Casa delle libertà!) e perché questa rendita pubblicitaria si fonda su concessioni statali di frequenze televisive ottenute corrompendo il potere politico ai tempi di Craxi e della Democrazia cristiana.

Eppure tutto ciò è – o almeno sembra – legale. Come formalmente legale è stato il successo con cui uomini come Berlusconi, Previti, Dell’Utri, Berruti e altre decine di loro colleghi d’azienda o compagni di politica si sono sottratti alle pene a cui quasi certamente qualunque altro cittadino non miliardario e non parlamentare sarebbe stato condannato se avesse fatto le cose che hanno fatto loro. Colpevoli e impunibili.

A confermare il successo della loro operazione politica c’è la tendenza, che qualcuno potrebbe avere, a pensare: be’, ormai se ne sono andati dal governo, non contano più. Questo sarebbe il miglior modo di premiare il loro disegno di diventare intoccabili, grazie alla politica. Berlusconi dichiarò a giornalisti come Montanelli e Biagi che l’unico modo per salvare se stesso e le sue aziende era entrare in politica. Lui e i suoi amici ci sono riusciti.

Per questo anche se non sono più al governo, quasi tutto il loro potere è intatto. A chi tra i simpatizzanti della nuova maggioranza non se ne fosse reso conto va ricordata una frase di un grande aforista del secolo scorso: “Credevano di essere al potere. Invece erano solo al governo”.

Questo testo è tratto dallo spettacolo Incantesimi.

Internazionale, numero 665, 27 ottobre 2006

(1) Il 19 marzo 2012 la corte d’appello di Roma ha ribaltato la sentenza di primo grado e ha condannato Beppe Grillo per diffamazione a mezzo stampa. Alla Fininvest è stato riconosciuto il diritto a ricevere un risarcimento di 50mila euro.

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