Naturalmente l’idea potrebbe anche fallire, ma è assolutamente valida. La difficoltà è nota a tutti. Da un lato Donald Trump vuole rinnegare, appoggiato da Israele e Arabia Saudita, il compromesso nucleare raggiunto con l’Iran; dall’altro gli europei, la Cina e la Russia non ne vogliono sentir parlare.
Il disaccordo è profondo e ognuno ha i suoi argomenti validi. La Casa Bianca e i suoi alleati possono sottolineare che Teheran, una volta libera (per quanto parzialmente) dalle sanzioni economiche, avrebbe tutti i mezzi per sviluppare la sua proiezione politico-militare in Siria, Iraq, Yemen e Libano.
Washington, Riyadh e Tel Aviv ripetono in coro che il compromesso sul nucleare ha favorito l’interventismo iraniano. Non è del tutto falso, ma è altrettanto vero che, senza l’accordo del 2015, l’Iran avrebbe costruito la bomba atomica, a meno che israeliani e americani non avessero bombardato il paese per impedirlo.
Macron e il presidente statunitense hanno parlato per un’ora e hanno insistito entrambi sulla “protezione” dell’accordo del 2015
In entrambi i casi il mondo si troverebbe in una situazione ben più preoccupante di quella odierna. Se il prossimo 12 maggio Donald Trump confermasse di volersi ritirare dall’accordo, il dilemma si ripresenterebbe identico: la bomba iraniana o il bombardamento sull’Iran, in un momento in cui la Russia è tornata in Medio Oriente e gli iraniani si sono piazzati alla frontiera siriana e libanese di Israele.
In sostanza stiamo ballando sull’orlo di un vulcano. È per questo che la settimana scorsa Emmanuel Macron ha lanciato un’idea da Washington: non una rinegoziazione del compromesso del 2015 ma una sua riconferma nel quadro dell’apertura di una nuova trattativa con Teheran.
Secondo Macron bisognerebbe negoziare prima di tutto cosa accadrà nel 2025, anno della scadenza dell’accordo attuale. In secondo luogo bisognerebbe discutere le attività balistiche dell’Iran. Infine bisognerebbe analizzare le crisi regionali. In questo modo si potrebbero aggiungere tre pilastri all’accordo del 2015, senza modificarlo ma ampliandolo. Nessuno perderebbe la faccia: né gli iraniani, perché il nucleo dell’intesa non sarebbe rimesso in discussione, né Donald Trump, che potrebbe rivendicare il merito di aver aperto una trattativa per migliorare un accordo che giudica gravemente insufficiente.
È un gioiello di astuzia diplomatica. Domenica Macron e il presidente statunitense hanno parlato per un’ora e hanno insistito entrambi sulla “protezione” dell’accordo del 2015, fissando, secondo quanto riportato dall’Eliseo, nuovi incontri per parlare di Yemen e Siria insieme a tutte le potenze interessate. Se il processo andrà per il verso giusto e se Donald Trump non farà saltare il banco tra 12 giorni, potrebbe davvero nascere un negoziato capace di produrre un grande compromesso regionale.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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