Sembrava fatta. Unico candidato in lizza, Nikol Pashinyan, l’uomo che incarna l’opposizione armena, il 1 maggio sarebbe dovuto diventare primo ministro dopo tre settimane segnate da grandi manifestazioni popolari.
Sembrava fatta, perché il presidente alla guida di questa ex repubblica sovietica indipendente dal 1991, Serž Sargsyan, si era inimicato la maggioranza dei tre milioni di armeni cercando di restare al potere oltre i due mandati consecutivi concessi dalla costituzione.
Sargsyan ha fatto passare l’Armenia da un regime presidenziale a un regime parlamentare per poi farsi nominare primo ministro dalla camera controllata dal suo partito. Tecnicamente la legge non è stata violata, ma il suo spirito è stato chiaramente calpestato. Così le manifestazioni di protesta avevano costretto Sargsyan a dimettersi il 23 aprile, lasciando via libera a Nikol Pashinyan, ex giornalista di 42 anni conosciuto per la sua eloquenza, il suo coraggio e la sua eleganza, una specie di Robin Hood maestro nell’arte di denunciare la corruzione, la disoccupazione, le enormi fortune di un gruppetto di eletti e la miseria della maggior parte della popolazione.
Appello al blocco totale
Sembrava fatta. Il partito di maggioranza avrebbe dovuto permettere a Pashinyan di andare al governo, perché era l’unico modo per ripristinare la calma. E invece no. Robin Hood non ha ottenuto la maggioranza parlamentare tanto attesa. Sorpreso e indignato quanto la folla che si preparava a festeggiarlo, ha immediatamente chiesto – a partire dal 2 maggio e invitando comunque alla non violenza – un blocco totale del paese, delle sue strade, delle sue stazioni e dei suoi aeroporti.
Un paese stretto tra l’Iran, la Turchia, la Georgia e l’Azerbaigian potrebbe essere sull’orlo della rivoluzione, animato da una volontà di ribellione contro l’ingiustizia sociale e dal rifiuto verso un uomo e un partito che non vogliono mollare la presa.
Dato che la diaspora armena è molto presente in diversi paesi, tra cui la Francia, questa crisi non passerà inosservata e farà tanto più rumore considerando che rappresenta un vero dilemma per la Russia, ex potenza tutelare dell’Armenia e garante della sua sicurezza davanti all’occidente, alla Turchia che continua a non voler riconoscere il genocidio armeno di un secolo fa e all’Azerbaigian a cui gli armeni contendono dal 1988 l’enclave del Nagorno Karabakh.
L’Armenia ha troppo bisogno della Russia per allontanarsene. Nikol Pashinyan continua a ripeterlo, ma Vladimir Putin non vede di buon occhio un popolo, per giunta gravitante nell’area russa, che voglia sbarazzarsi dei suoi dirigenti accusandoli di aver diffuso la corruzione e aver provocato la miseria della gente. Questo tipo movimento, infatti, rischia di far venire idee strane a qualcuno, anche in Russia.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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