La Spagna vive in un’atmosfera di fine regime. Il 9 novembre la più grave crisi degli ultimi decenni tra il governo centrale e i poteri locali compirà un nuovo balzo in avanti con lo svolgimento di una consultazione popolare in Catalogna sull’indipendenza della regione.
Il governo spagnolo ha usato la corte costituzionale per cercare di bloccare un “processo partecipativo” che ha il sostegno del governo catalano e di due terzi del parlamento regionale.
Il voto è simbolico e il suo unico peso politico è la mobilitazione di centinaia di migliaia di persone, che affideranno alle urne di cartone la loro opinione su un dibattito che da tempo (e con forza sempre maggiore) anima le strade, i bar, gli spalti dello stadio del Barça e i mezzi d’informazione, e che ha monopolizzato l’agenda del governo regionale. Il voto non ha una validità legale e, tantomeno, è vincolante. E comunque una parte dell’elettorato catalano voterà per difendere l’integrità dello stato federale.
Il problema è che Madrid ha paura del risultato. Inoltre, la decisione del governo centrale di offrire come sola alternativa alla sfida indipendentista lo scontro politico euna specie di sacralizzazione dell’unità nazionale non ha fatto altro che aumentare la distanza politica e sociale tra una parte della popolazione catalana e il resto della Spagna. Assistiamo a una sorta di disinvestimento emotivo. E la negazione come unica risposta è il fallimento della politica.
Tuttavia, la sfida territoriale riflette una crisi molto più profonda che minaccia la stabilità politica e le basi della transizione postfranchista della Spagna.
Il tradizionale sistema partitico, che ha garantito l’alternanza tra il Partito popolare (Pp) e i socialisti (Psoe) è intaccato dai numerosi casi di corruzione, talmente frequenti e diffusi da spingere alcuni esperti a paragonare la situazione attuale alla tangentopoli dell’Italia degli anni novanta.
L’ultima ricerca del Centro di indagini sociologiche conferma la fine del bipartitismo tradizionale e l’irruzione del fenomeno Podemos. Questo nuovo partito, considerato da molti come l’equivalente spagnolo di Syriza, è riuscito in pochi mesi ad affermarsi come terza forza e secondo altri sondaggi è in vantaggio nelle intenzioni di voto. La crisi economica e le dolorose misure di riduzione della spesa pubblica e di riforma del mercato del lavoro accelerano l’erosione della fiducia dei cittadini nei partiti tradizionali.
La società spagnola è sconvolta e spaventata. L’intransigenza del governo Rajoy ha spinto la maggioranza politica della Catalogna a rompere con lo statu quo, creando un consenso trasversale senza precedenti che va dai cattolici moderati alla sinistra più radicale. Il governo spagnolo sta vivendo il suo autunno più difficile, e la negazione dei problemi non fa che accelerare il declino. È in atto una crisi politica e istituzionale: la sinistra radicale pensa che sia arrivato il momento – e non solo in Catalogna – di rivedere gli equilibri politici negoziati durante la transizione all’ombra minacciosa del franchismo.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
Carme Colomina è una giornalista di Barcellona ed è il capo degli esteri del quotidiano catalano Ara.
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