La città del disordine. Storie di vita dal manicomio San Lazzaro. Il titolo di quest’opera del musicista Nicola Manzan dovrebbe dire tutto, eppure cosa dice? Che si può raccontare la sofferenza psichica delle persone evitando di ridurle in brandelli di poesie e romanzi, sovrainterpretando la loro esperienza o creando cornici di senso troppo definitive, per liberarle invece in un suono. Narrare le “persone legate” spesso significa ridurre, spezzare in frammenti, rendere certe vite pulviscolari e “facili”. Sonorizzare, invece, può aiutare a creare dei flussi più orientati al pulsare della vita che all’inevitabilità del taglio. Evita l’effetto per cercare un movimento, una possibilità.

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Nato nell’ambito di un bel progetto dei Musei Civici del Comune di Reggio Emilia, e pensato per il Museo di storia della psichiatria di Reggio Emilia, Manzan sceglie otto persone, cinque donne e tre uomini, un tempo confinate nell’ospedale psichiatrico di San Lazzaro, chiuso con la legge 180 del 1978, la legge Basaglia, e prova a liberarle dalla sintesi (per quanto affascinante, anche perché qui si spazia dalla fine dell’ottocento al 1906) dei loro referti clinici. Manzan ne legge le cartelle cliniche e sceglie dei percorsi, delle vie di fuga musicate che hanno spazio per la malinconia e la nota bassa quanto per il motivo allegro e primitivo. Sulle dinamiche di potere tra chi ascolta e chi racconta la propria sofferenza, tra chi osserva e chi si agita nella sua furia o paranoia, si è sempre fatta arte, ma quando si usa la parola è facile che questo potere si cristallizzi. La musica, come in questo caso, lo scioglie.

Questo articolo è uscito sul numero 1411 di Internazionale. Compra questo numero | Abbonati

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