Com’è cambiata Pisa, in poco più di vent’anni! Quando ci sono arrivato per fare l’università, nei primi anni novanta, d’inverno era difficile trovare un bar aperto dopo le dieci di sera, e d’estate si preferiva andare al mare, chi aveva la macchina, anziché fare la spola tra i soliti quattro o cinque locali con i tavolini all’aperto. Ci sono tornato qualche settimana fa, dopo un po’ che mancavo, ho semidormito in un albergo sul Lungarno (dalle 3 alle 6, prima è stato impossibile per gli schiamazzi e i clacson), e mi è sembrata una di quelle cittadine zozze e divertenti della Costa Brava, a luglio. Le piazzette piene di pub ristoranti, i vicoli pieni di microbazar cingalesi, piazza dei Cavalieri disseminata di bottiglie vuote, piazza delle Vettovaglie un suk, un assordante rumore di fondo. Ed era mercoledì.
Da quattro anni, intanto, la Biblioteca universitaria è chiusa. Naturalmente tra le due cose non c’è alcun rapporto, non è che la trasformazione della già sonnacchiosa città universitaria in una Benidorm sull’Arno spieghi il fatto che la più grossa e antica biblioteca della città non esiste più, ma insomma finisce per renderlo più razionale, quasi accettabile.
È successo questo. Nel 2012 c’è stato a Pisa un leggero terremoto che pare abbia danneggiato il palazzo della Sapienza, dove da quasi due secoli è ospitata la Biblioteca universitaria: solo il palazzo della Sapienza, gli altri no. È lo stesso terremoto che – tutti lo ricorderanno – ha fatto danni assai seri in Emilia e in Veneto. A Padova, la Biblioteca umanistica di palazzo Maldura è rimasta chiusa per qualche mese, ma poi ha riaperto. La Biblioteca universitaria di Pisa non ha riaperto. Si sono convocati esperti, si sono riunite commissioni, ma in quattro anni la Biblioteca non ha riaperto. Né si sono trovate, per i libri, sedi alternative in città.
Una città universitaria senza la sua biblioteca perde un pezzo qualificante della sua anima
Giorni fa, una perdita d’acqua ha danneggiato varie decine di volumi del cinquecento, che i restauratori stanno ora cercando di salvare; su altri libri antichi, mancando la manutenzione, cresce la muffa. E attorno ai fatti (o meglio ai non fatti) sono fioriti ragionevoli dubbi e ragionevoli sospetti, perché si dice che il terremoto sia stato un’occasione colta al volo da chi ha sempre voluto sloggiare la biblioteca dal palazzo della Sapienza. Inutili le proteste degli studiosi e degli studenti pisani, proteste che si riaccendono adesso perché il ministero dei beni culturali (proprietario della Biblioteca ma non del palazzo della Sapienza, che vent’anni fa è stato donato dallo stato all’Università di Pisa) ha deciso di chiudere la biblioteca e di trasportare altrove il mezzo milione di volumi (manoscritti, incunaboli, cinquecentine, riviste) che formano il suo patrimonio. E qui sta il punto, perché non pare che questo altrove sia stato precisato, cioè che una sede adeguata sia stata trovata da chi ha deciso la chiusura. Si impacchettano i libri, ma non si sa se e quando verranno spacchettati, cioè se la Biblioteca universitaria di Pisa avrà un futuro.
L’indignazione degli intellettuali è spesso stucchevole: perché non di rado càpita che parlino in difesa del proprio interesse spacciandolo per l’interesse universale. Ma non è questo il caso. Chi studia, e chi ha studiato a Pisa, sa che una città universitaria senza la sua biblioteca perde un pezzo qualificante della sua anima, sicché con il tempo quella città rischia di assomigliare sempre di più a una zozza e chiassosa Benidorm sull’Arno. Non che Benidorm non abbia le sue attrattive, o che tutto debba rimanere immoto nei secoli, ma i nostri antenati ci hanno consegnato una città universitaria modello, che ha attratto e attrae studenti da tutta Italia, che è nota nel mondo per la qualità dei suoi studi, dei libri che vi vengono scritti, e lasciare chiusa la più grande biblioteca della città per quattro più… quanti altri anni? significa non aver compreso l’importanza ideale e materiale di quel lascito.
Non è un momento propizio per le biblioteche, a Pisa. Giorni fa è stata chiusa anche la biblioteca provinciale, e altre rischiano di fare la stessa fine. Né il problema sarebbe la chiusura di una o più biblioteche, se queste chiusure fossero fatte in vista di una razionalizzazione del servizio: se ne chiudono due piccole per finanziarne una grande. Ma così non è: c’è invece la soppressione del servizio, l’eliminazione degli spazi di studio, e dei libri, in una delle più importanti città universitarie d’Italia.
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