Andrea Cisi, La piena
Minimum fax, 419 pagine,16 euro
Per secoli, la via alla maturità di un maschio italiano fu “misera, brutale e breve” (per rubare le parole del buon Thomas Hobbes, Leviatano). E culminava con la visita adolescenziale a una prostituta. O peggio, con la guerra. Che le cose siano cambiate oggi possiamo capirlo non solo da un corteo del gay pride, ma da un bel romanzo come questo, costruito su una materia tradizionalmente associata al romanzo domestico femminile: il matrimonio, l’essere genitore, la fragilità emotiva ed economica del protagonista.
Umberto, metalmeccanico, lavora nell’unico capannone ancora aperto in una zona di “desertificazione industriale” del cremonese. Ha un figlio, Ale, “il nano”, che ama con grande tenerezza, una compagna, Lisa, e un rivale, “un tizio in Peuterey”. La sua famiglia di origine, un padre dissoluto che lui chiamava (Darth) Vader, non gli serve da esempio nell’affrontare la vita domestica in crisi. I compagni di fabbrica neanche. Per reagire, deve ragionare un po’ da donna. La piena è anche un romanzo della provincia: siamo nella bassa padana, zona d’inondazioni e d’industrie in difficoltà. L’amicizia, l’amore, l’ironia popolare: tutto può finire sommerso, se l’acqua melmosa del Po rompe gli argini.
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