Poniamo che chiunque critichi l’occupazione israeliana sia un antisemita, come sostiene l’efficiente macchina propagandistica israeliana. E che tutti i sostenitori del movimento boicottaggio, disinvestimento e sanzioni (bds) desiderino la distruzione d’Israele. Infine poniamo che Israele non sia uno stato d’apartheid, e che perfino la sua brutale occupazione dei territori palestinesi in realtà non sia tale.

Cosa direbbero i propagandisti sionisti in risposta alle dichiarazioni di Zwelivelile Mandela, nipote di Nelson Mandela e continuatore della sua eredità? Lo accuseranno di antisemitismo? Sosterranno che è mosso da interessi malvagi? Che forse prende soldi dal gruppo Stato islamico (Is)? Che è al servizio del Qatar? Che è un neonazista come Jeremy Corbyn?

Si può dire di tutto. Si può anche continuare a crogiolarsi nella dottrina morale di Donald Trump, adottare il punto di vista del presidente delle Filippine, considerare quello ungherese un vero amico e considerare quello brasiliano un faro di giustizia. Si può approvare una legge in cui si chiede a ogni comune di seguire l’esempio illuminato di Petah Tikva, dedicando una piazza a Trump.

Accuse impossibili da sostenere
Ma sarebbe molto più significativo ascoltare Mandela. Nessun israeliano perbene può rimanere indifferente alle sue parole. È difficile lanciargli quelle accuse rivolte da Israele tutte le persone dotate di coscienza che osano criticarlo.

Mandela, un uomo imponente e carismatico, è nato nel 1974 e ricorda molto suo nonno. Fa parte del parlamento sudafricano, è capo della tribù thembu e dirige il consiglio del villaggio di Mvezo. Vive nel villaggio di Qunu, dove è stato sepolto Nelson Mandela, e di recente ha partecipato a una grande conferenza, Palestine Expo, a Londra.

Alla lotta di Nelson Mandela si sono uniti molti coraggiosi ebrei sudafricani, che per questo sono stati feriti, esiliati e imprigionati con lui

Mandela è un grande narratore, capace d’ipnotizzare il suo uditorio per ore, con storie che parlano di suo nonno, che ha visitato in prigione da bambino e ha in seguito accompagnato nei suoi giri intorno al mondo. Suo padre è morto di aids quando era giovane, e la cosa lo ha avvicinato ancora di può a suo nonno, del quale era il nipote più grande. Con una kefiah al collo e un braccialetto palestinese al polso, è lui che tramanda l’eredità di Nelson. Chiunque lo accusi di antisemitismo dovrebbe fare lo stesso nei confronti del più grande statista dissidente del ventesimo secolo, il suo ammirato nonno, alla cui lotta si sono uniti molti coraggiosi ebrei sudafricani, che per questo sono stati feriti, esiliati e imprigionati con lui.

Una realtà di apartheid
Mandela si esprime con decisione quando dice che le enclavi bantustan non funzionavano in Sudafrica e non funzioneranno mai nell’Israele dell’apartheid. Non solo è convinto che Israele sia uno stato di apartheid, lo considera la peggiore forma di apartheid a cui abbia mai assistito. Sì, perfino peggiore del Sudafrica. Ha elencato gli elementi dell’apartheid che vigevano in passato nel suo paese: discriminazione legalizzata, limitazioni di movimenti, espropriazione dei terreni, territorializzazione etnica, regime militare, blocchi stradali, umiliazioni e perquisizioni domestiche. Tutti questi elementi esistono oggi in Israele.

Ha inoltre dichiarato che la legge sullo stato-nazione approvata nel 2018 ha dato uno status costituzionale a una realtà di apartheid che esiste fin dalla creazione di Israele. Mandela ha citato suo nonno, che vedeva nella lotta palestinese la principale questione morale dell’epoca attuale e che nel 1995, da presidente, aveva dichiarato: “La nostra battaglia non sarà completa senza la libertà del popolo palestinese”.

Zwelivelile Mandela ha ricordato che per i leader della lotta dei neri furono imprigionati ed esiliati la causa palestinese era un’ispirazione. Quando Mandela visitò gli Stati Uniti e il presidente Clinton cercò di raffreddare i suoi legami con Yasser Arafat e Muammar Gheddafi, la risposta di Mandela fu inequivocabile: non avrebbe mai abbandonato quelli che erano stati vicini a lui e al suo popolo durante i tempi bui.

La richiesta di Arafat
È difficile dire che Israele gli sia stato vicino, per non dire di peggio. Ma perché Mandela decise comunque di visitare Israele? Perché Arafat gli chiese di farlo. Arafat credeva che l’uomo che era stato in grado di convincere i capi del regime bianco in Sudafrica sarebbe stato in grado di persuadere i dirigenti di un regime analogo in Israele. Ma rimase deluso.

Il giovane Mandela considera il sostegno al movimento bds come un obbligo morale, come lo fu il sostegno al boicottaggio nei confronti del suo paese. È allegro e ottimista, come suo nonno. “Alla fine la giustizia prevarrà”, ha dichiarato. “Oggi il Sudafrica, domani la Palestina. Questo incontro ci ricorda il nostro appuntamento con la storia”.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è uscito sul quotidiano israeliano Haaretz.

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