José Couso, Taras Protsyuk, Tareq Ayoub, Christian Liebig, Julio Anguita Parrado, David Bloom, Kamaran Abdurazaq Muhamed, Michael Kelly, Kaveh Golestan, Gaby Rado, Paul Moran, Terry Lloyd. Sono i dodici giornalisti morti in Iraq tra il 22 marzo e l’8 aprile. Uccisi in incidenti, colpiti dagli iracheni e dai soldati americani e inglesi. Quel colpo sparato dal carro armato contro l’hotel Palestine ricorda molto i colpi dei soldati israeliani che l’anno scorso hanno ucciso Raffaele Ciriello. In entrambi i casi è stato solo uno sbaglio? O c’era la volontà di intimidire? Sono domande che vorremmo poter fare senza essere definiti lagnosi. Intanto, dall’altra parte del mondo, c’è un altro dittatore che approfitta della cortina fumogena creata da questa guerra per regolare un po’ di conti in sospeso. È Fidel Castro, che ha fatto condannare 43 giornalisti e dissidenti a pene comprese tra i 15 e i 27 anni di carcere. I loro nomi sono Raúl Rivero, Omar Rodríguez Saludes, Roberto de Miranda, Antonio Díaz, Efraín Fernández…
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