I fact checker esistono solo nelle grandi riviste americane. Almeno così pensavano tutti fino a ieri. Anche Peter Canby, il capo dei fact checker del New Yorker, alla guida di un gruppo di sedici giornalisti impegnati a verificare ogni informazione contenuta nel settimanale prima che venga pubblicata. Craig Silverman, sulla Columbia Journalism Review, racconta lo stupore di Canby quando è sbarcato ad Amburgo per un convegno organizzato a marzo dal settimanale tedesco Der Spiegel. Si aspettava di essere la star, ma poi ha cominciato ad ascoltare la conferenza introduttiva del Dr. Hauke Janssen, capo dei fact checker dello Spiegel. E ha scoperto che lì ce ne sono ottanta, a tempo pieno, a cui si aggiungono una trentina di collaboratori part time. È la sezione di fact checking più grande del mondo. In tedesco si chiama Dokumentation. Il loro compito è anche di aiutare i giornalisti nel lavoro di ricerca e documentazione indispensabile prima di cominciare a scrivere. Il motivo di tanto sforzo, ha spiegato Axel Pult, vice della sezione Dokumentation, non è solo cercare di evitare gli errori, ma è anche riassunto in una parola tedesca: Leser-Blatt-Bindung, che significa più o meno legame tra giornale e lettore. Una parola difficilmente traducibile, almeno in italiano.

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