Senza fare troppo rumore, il 25 gennaio i senatori statunitensi hanno reintrodotto una legge che garantisce al presidente il potere di bloccare internet in caso di emergenza nazionale. “La scelta dei tempi non poteva essere peggiore”, ha commentato l’Economist: tre giorni dopo in Egitto Mubarak ha chiuso gli accessi alla rete per cercare di fermare le rivolte. Una mossa disperata. Innanzitutto per il costo in termini economici: l’Ocse calcola che i cinque giorni di blackout sono costati all’Egitto 90 milioni di dollari. E poi perché è inutile. Ormai l’interconnessione e la ramificazione delle reti di comunicazione è così estesa che sperare di impedire ogni forma di collegamento è utopistico. Gli egiziani che hanno internet sono venti milioni e quelli con il cellulare sono 55 milioni. Ed è proprio l’evoluzione dei telefoni cellulari che sta trasformando il panorama delle comunicazioni in tutto il mondo. Lo studio di un’importante società di investimenti stima che nel 2011 per la prima volta si venderanno più smartphone, cioè cellulari in grado di collegarsi a internet, che computer tradizionali. Un sorpasso che trasformerà l’industria tecnologica e che avrà ricadute anche in altri settori. In Francia e in Gran Bretagna, per esempio, una delle ragioni della crisi dei giornali gratuiti è proprio la diffusione degli smartphone. Dalla metropolitana di Londra a piazza Tahrir, la rivoluzione passa anche attraverso il telefono.

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