Ai 13.500 giornalisti statunitensi che negli ultimi tre anni hanno perso il lavoro si sono appena aggiunti i 28 fotoreporter del Chicago Sun-Times, il secondo quotidiano più importante di Chicago, che il 30 maggio hanno ricevuto una lettera di licenziamento. “Il nostro giornale si sta evolvendo insieme ai suoi lettori”, ha detto in un comunicato la proprietà.
Ricordate il drammatico video dell’uomo che ha ucciso un soldato a Londra, ripreso con le mani insanguinate e una mannaia in mano? È stato trasmesso da Itv News e poi dalle tv di tutto il mondo. Ma non l’ha girato un giornalista. Il video è stato fatto con un BlackBerry da una persona che si trovava lì per caso (stava andando a fare un colloquio di lavoro). Qualche anno fa, a Ferrara, David Randall si divertì a chiedere alle centinaia di ragazzi e ragazze che l’ascoltavano quanti sarebbero stati disposti a farsi operare d’appendicite da un “citizen chirurgo” o a farsi difendere in tribunale da un “citizen avvocato”. Il citizen journalism, cioè il giornalismo partecipativo, quello che coinvolge attivamente i lettori, offre grandi opportunità.
Soprattutto oggi che con gli smartphone si possono scattare foto, girare video, scrivere testi da qualunque angolo del pianeta. È impossibile che i giornalisti riescano ogni volta a trovarsi nel posto giusto al momento giusto, mentre è sempre più probabile che lì dove succede qualcosa ci sia almeno una persona con uno smartphone. Per questo i citizen journalist sono alleati dei giornalisti. E viceversa: senza l’esperienza dei giornalisti professionisti, senza la loro capacità di dare un senso al materiale grezzo che arriva dai lettori, quel flusso resta informe. È solo quando finisce in prima pagina sul New York Times che la foto scattata da un lettore diventa una notizia. Jay Rosen, della New York university, ha parlato di networked reporting. È una nuova frontiera, e la stiamo attraversando ora.
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