C’erano una volta decine di migliaia di persone che scappavano da una guerra. Erano soprattutto donne e bambini. Il viaggio attraverso il Mediterraneo era pericoloso, ma non avevano scelta: se fossero restate sarebbero quasi certamente morte. Furono accolte nei campi allestiti dalle organizzazioni umanitarie internazionali. Gli fu dato un tetto, del cibo, cure mediche, scuole per i figli.
Qualche anno fa, la Public radio international (Pri), con l’università del Minnesota, ha raccontato una storia dimenticata. Nel 1942, durante la seconda guerra mondiale, un programma promosso dal Regno Unito e chiamato Middle East relief and refugee administration aiutò quarantamila persone che venivano da tutta l’Europa e in particolare da Bulgaria, Croazia, Grecia, Turchia e Jugoslavia a trovare rifugio in Egitto, in Palestina, a Gaza e in Siria, ad Aleppo. Centinaia di migliaia di polacchi furono invece accolti in Iran in campi allestiti con l’aiuto della Croce rossa americana. Fuggivano tutti dall’occupazione nazista. I greci scappavano anche dall’occupazione italiana.
Sulla copertina del quindicinale palestinese Huna al Quds dell’11 gennaio 1942 c’è la foto di una donna siriana che distribuisce cibo e vestiti a un gruppo di bambini greci. Krystyna Skwarko, un’insegnante polacca arrivata con i suoi due figli nella città iraniana di Isfahan, racconta: “Tanti persiani amichevoli si sono affollati intorno ai pullman urlando quelle che dovevano essere parole di benvenuto e passandoci attraverso i finestrini datteri, noci, piselli tostati con uvetta e succosi melograni”.
Nei materiali d’archivio studiati da Evan Taparata e Kuang Keng Kuek Ser si descrivono gli sforzi compiuti per accogliere nel miglior modo possibile i profughi europei, per esempio assecondando le loro abitudini religiose e culturali. E alla fine della guerra? La maggior parte dei rifugiati europei tornò a casa.
Questo articolo è uscito sul numero 1348 di Internazionale. Compra questo numero|Abbonati
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