“Il Brasile non sogna più” (Internazionale 1006, pagina 16), “L’Africa può sognare” (pagina 29) e “Il mio libro dei sogni” (pagina 42). Va bene un titolo che usa il sogno in senso figurato, ma tre nello stesso numero è troppo: l’immagine perde incisività, il giornale perde varietà e chi legge perde interesse.
Passando in rassegna le nostre copertine, si vede che negli anni ci siamo affezionati a certe formule. Per esempio per presentare un fatto di attualità: “Se la Turchia esplode” (n. 1003), “Se l’India esplode” (n. 773), “Se il Canada si spacca” (n. 102), “Se la Francia dice no” (n. 592), “Se scoppia la nuova bolla economica” (n. 824), “Se il vaccino non funziona” (n. 820), “Se torna l’uomo forte” (n. 784), “Se crollano i prezzi delle case” (n. 596).
O una persona: “L’uomo che vuole salvare la Grecia” (n. 953), “L’uomo che vuole sfidare Obama” (n. 932), “L’uomo che ha fottuto un intero paese” (n. 902), “L’uomo che poteva salvare l’Iraq” (n. 741), “L’uomo che salverà la musica” (n. 712), “Il ragazzo che cambierà Google” (n. 731), “La donna che rinunciò al potere per i figli” (n. 957). In vent’anni solo tre copertine hanno parlato di sogni: “L’America non sogna più” (n. 868), “Sogni d’oro” (n. 72) e “Il sogno palestinese” (n. 35). Ma per due volte abbiamo titolato: “Buonanotte Giappone” (n. 805 e n. 241).
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