“Caro Internazionale, se anche te scrivi ‘Ghandi’ invece di ‘Gandhi’ vuol dire che siamo arrivati alla frutta”, ci scrive Tommaso Vaccari. Che frustrazione. Proprio nel sommario dell’articolo su Arundhati Roy (Internazionale 1066, pagina 42)!

Eppure eravamo così contenti di pubblicarlo che ce l’abbiamo messa tutta a scrivere quel sommario. Ma forse abbiamo sbagliato proprio per questo. Come ha spiegato a Wired Tom Stafford, un professore britannico che studia i refusi all’università di Sheffield, quando è impegnato in compiti complessi il cervello usa delle scorciatoie per gestire i livelli inferiori del processo (trasformare le singole lettere nella parola “Gandhi”) e concentrarsi sui livelli più alti (trasformare le singole parole in un sommario efficace).

Quando scriviamo o rileggiamo una parola che conosciamo, scatta lo stesso meccanismo per cui quando facciamo il tragitto per andare al lavoro non ci fermiamo a ogni angolo per decidere dove svoltare: il percorso l’abbiamo già in testa. Quel meccanismo, però, a volte ci fa sbagliare strada: usciamo di casa per andare a cena da un’amica e a un certo punto ci rendiamo conto che stiamo andando al lavoro. Dobbiamo correggere subito la rotta o rischiamo di arrivare alla frutta.

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