Gentile bibliopatologo,
ovunque, e anche nella sua rubrica, quando si parla di lettura ci si riferisce a un lettore ideale che legge solo narrativa. Chi come me predilige la storia o la saggistica sembra non esistere! Certo, la conoscenza è la motivazione principale delle mie letture, ma anche la conoscenza è una forma di piacere, un piacere che ho coltivato per tutta la vita. Mi capita poi di integrare un saggio storico con alcuni romanzi del periodo corrispondente, ma tutto questo contribuisce a creare il mio profilo di lettrice. Ed è proprio di questo profilo che non si parla mai. Perché?
-Cecilia
Cara Cecilia,
hai proprio ragione, ho pagato anch’io il mio obolo a quella che potremmo battezzare romanzo-normatività: il presupposto tacito che il lettore canonico sia il lettore di narrativa di finzione, che libro – se non diversamente specificato – sia sinonimo di romanzo, e che le molte altre forme che può prendere il piacere della lettura siano scostamenti e deviazioni da un modello ideale, quando non proprio perversioni e degenerazioni. E dire che, rispetto a questa norma, sono sempre stato un lettore decisamente queer!
Il nostro professore di italiano e latino, al liceo, ci consigliava di distribuire le letture secondo la regola aurea del trentatré per cento: un terzo narrativa, un terzo poesia, un terzo saggistica – e l’un per cento residuo da assegnare alla lettura dei giornali. Non posso dire di aver rispettato scrupolosamente la dieta del professor Campus ma il suo criterio mi sembra molto saggio, specie se penso al tempo che ho dilapidato a inseguire le minuzie dell’attualità, sforando di molto la soglia simbolica dell’un per cento. Era stato anche il rimpianto di Swann: “Ciò che rimprovero ai giornali è di attirare la nostra attenzione tutti i giorni su cose insignificanti, mentre leggiamo tre o quattro volte nella vita i libri che contengono le cose essenziali”.
Al di là dei dosaggi, mi piace pensare che ogni lettore abbia in sé una specie di unità di misura letteraria, o se preferisci una forma simbolica dominante. A vent’anni, questa unità di misura era per me la poesia. Anche se leggevo un romanzo, ero così concentrato sulla musica delle frasi, sulla scelta delle singole parole o sulla felicità di certe immagini che mi perdevo per strada la trama, i personaggi, le azioni e le motivazioni: un disastro. Poi sono diventato un lettore accanito di saggistica, ed è in questa valuta che ho cominciato a convertire le altre mie letture: ai poeti e ai romanzieri chiedevo di fornire illustrazioni vivide di concetti smorti, esemplificazioni di leggi profonde del comportamento umano, intuizioni da sciogliere in forma intellettuale. Sono approdato infine a una piena fluidità di genere – nel senso di genere letterario – e leggo le cose più disparate avendo in mente un modello di libro piuttosto eccentrico, che non saprei definire bene ma che ho provato a scrivere come prototipo qualche anno fa prendendo spunto da un film di Hitchcock.
La tua unità di misura è la saggistica storica, e anche i romanzi ti servono a rendere più vivo il piacere della conoscenza di un periodo a cui ti sei appassionata. E hai pieno diritto, come me e come tanti altri lettori che non si conformano alla normatività dei suprematisti del romanzo, a vederti riconosciuta in una Repubblica dei lettori che sia il più possibile inclusiva. Facciamo sentire la nostra voce, appassionati di libri di saggistica, poesia, viaggio, cucina, bricolage e altri ancora. Siamo la comunità SPVCB+.
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