“L’oggetto dell’operazione è occupare qualche pietra che rimarrà nostra… non dovranno esserci indigeni a parte i gabbiani”, scriveva Paul Gore-Booth, alto funzionario del Foreign office britannico quando, nel 1966, cominciava a prendere forma il progetto di espellere i duemila abitanti delle isole Chagos dalle loro case. “Su questo non dobbiamo assolutamente transigere”.
E così è stato. Sei anni dopo gli abitanti delle Chagos (îlois, come si auto-definiscono) sono stati radunati, caricati sulle navi e scaricati sul lungomare di Port Louis, la capitale di Mauritius, dove la maggior parte di loro è vissuta nella più assoluta povertà fino a oggi. Questo mese però un nutrito gruppo è tornato sulle isole a bordo di una nave mauriziana.
Non possono ancora rimanerci. Per tutta la durata della visita sono stati scortati da una nave della “protezione della pesca” britannica che, in modo piuttosto comico, ha dichiarato di “collaborare alla ricerca ambientale”. Adesso però la bilancia pende così tanto a favore degli ex abitanti dell’isola che la nave britannica non ha osato bloccare l’imbarcazione di Mauritius.
Guerra per conto degli Stati Uniti
Mentre l’equipaggio loro nave si adoperava per definire i confini marittimi del territorio per conto del governo di Mauritius, gli îlois hanno rivisitato le loro vecchie case, ormai senza tetto e ricoperte dalla vegetazione. Poi sono dovuti rientrare a Mauritius. Ma perché sono stati costretti all’esilio?
Il crimine di cui Gore-Booth parlava senza alcun pudore nel 1966 è stato commesso per conto degli Stati Uniti. Le isole Chagos, un arcipelago di 62 atolli corallini nel mezzo dell’oceano Indiano, sarebbero state una base ideale per i bombardieri, dalla quale poter dominare gran parte dell’Asia meridionale e dell’Africa orientale, e il Pentagono le voleva.
Il Regno Unito, come al solito debole con i forti e forte con i deboli, ha eseguito di buon grado, ma c’era un problema. Le isole Chagos erano state governate come parte della colonia britannica di Mauritius, che nel 1968 è diventata indipendente. Agli Stati Uniti non piaceva l’idea di avere una importante base strategica in un paese africano indipendente, perciò bisognava fare qualcosa.
La soluzione ovviamente era separare le isole Chagos da Mauritius e dichiararle Territorio britannico dell’oceano Indiano (Biot). Detto fatto: offrite ai mauriziani tre milioni di sterline per le isole e ditegli che non potranno avere l’indipendenza se non accetteranno l’accordo.
Questo però accadeva nel pieno del processo di decolonizzazione, quando territori coloniali di tutto il “terzo mondo” rivendicavano il diritto all’autodeterminazione. E se gli îlois avessero fatto lo stesso? Be’, allora meglio spostare tutti gli abitanti da un’altra parte.
Una sentenza non rispettata
Ed è proprio quello che hanno fatto i britannici nel 1972, dichiarando con una bugia che sull’isola non c’erano abitanti, solo lavoratori interinali. Per cinquant’anni agli îlois non è stato permesso di tornare e tutte le persone che erano nate sulle isole stanno invecchiando. Ma i loro figli e nipoti non hanno dimenticato.
Anzi, nel 2000 sono riusciti a strappare ai tribunali britannici una sentenza che stabiliva che l’espulsione era stata illegale e che imponeva al governo di Londra di consentire agli isolani di tornare a casa. Una sentenza che forse sarebbe stata rispettata, se il 2001 non avesse portato con sé gli attacchi terroristici dell’11 settembre e la base statunitense di Diego Garcia sulle isole Chagos non fosse diventata un nodo strategico nella “guerra contro il terrorismo”.
Per vent’anni, i B52 americani decollati dalle isole Chagos hanno bombardato a intervalli Afghanistan e Iraq, e Diego Garcia, senza abitanti civili, è diventata un luogo di transito per prigionieri che venivano spostati in aereo tra i diversi “luoghi segreti” statunitensi disseminati in tutto il pianeta senza lasciare traccia. Il Regno Unito aveva noleggiato le isole per un lungo periodo, e gli Stati Uniti non avevano intenzione di restituirle.
Il Regno Unito insiste nel rivendicare la sovranità sulle isole (sebbene a gestirle siano gli Stati Uniti), ma da quando la corte internazionale di giustizia ha stabilito nel 2019 che l’intero processo di espulsione è stato illegale il paese è sulla difensiva. La sentenza è stata appoggiata dall’assemblea generale dell’Onu e, più di recente, dal tribunale internazionale del diritto del mare.
Ci vorrà un po’ di tempo, ma gli Stati Uniti non hanno più un gran bisogno di una base a Diego Garcia, visto che hanno accesso alle basi aeree in Qatar, Bahrein, Kuwait ed Emirati Arabi Uniti, tutti molto più vicini all’azione. Oltretutto Mauritius ha dichiarato che la base può restare dov’è, a patto che le isole vengano restituite.
Perciò presto gli îlois torneranno a casa, e nel frattempo ecco una curiosità. L’arcipelago delle Chagos si trova in cima a una gigantesca depressione concava nell’oceano, profonda quasi cento metri. Con il mare al suo livello effettivo, se non fosse per l’enorme anomalia gravitazionale che mantiene aperta quella scodella, le isole Chagos sarebbero tutte in fondo all’oceano.
(Traduzione di Giusy Muzzopappa)
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